NEGOZI APERTI NEI GIORNI DI FESTA
Un Primo Maggio con circa un milione di italiani che lavorano regolarmente, specialmente nella grande distribuzione. Cassieri, inservienti, venditori di reparto, controllori. Una orribile linea è passata nell’era del lavoro sempre più degradato e sempre meno riconosciuto. Si lavora sempre, anche il Primo Maggio quando il rito della Festa, incarnato dal riposo, dovrebbe celebrare proprio la dignità del lavoro. E non il suo uso senza soste. Da mesi in Parlamento giace una proposta di legge per contenere questo abuso, ma in realtà le uniche risposte coraggiose arrivano, come sempre, dal basso, da qualche amministrazione locale.
Dovremmo dire tutti «grazie» al Consiglio provinciale di Bolzano che, all’unanimità e nero su bianco, ha approvato una mozione per impedire il lavoro, laddove non sia necessario, nelle domeniche e nei giorni festivi, limitando al massimo le aperture di negozi e centri commerciali in queste date.
Sulla pelle dei lavoratori, spesso pagati male e sotto il ricatto della perdita del posto, sta infatti passando in modo strisciante una linea assurda in Italia: tutti aperti, anche a Natale, a Pasqua, la domenica. Sempre. E sotto a chi tocca per chi deve sfacchinare anche nei giorni dedicati al riposo e alla famiglia.
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NEGOZI APERTI DI DOMENICA
Uno spreco inaccettabile, con un precedente che voglio ricordare: lo sciopero, sacrosanto, dei dipendenti dell’outlet di Serravalle dove la società americana McArthurGlen pretendeva che si lavorasse e si tenessero le saracinesche aperte anche nella domenica di Pasqua. Un fatto gravissimo e non isolato, indirizzato solo allo spreco dei consumi compulsivi, ed a una forma di concorrenza sleale rispetto ai piccoli commercianti. Uno schiaffo alla sensibilità di centinaia di famiglie di lavoratori che vengono trattati come dei paria, senza alcuni rispetto delle persone prima che degli oggetti.
Chiariamo subito due cose. Il no secco non è legato solo a una tradizione religiosa, che pure dovrebbe essere rispettata, ma a un principio più generale: in giornate così evocative, così dense per la storia e per i sentimenti che rappresentano, non si possono privare i lavoratori di un loro diritto. Anche se lo si paga profumatamente (una giornata festiva viene ricompensata il 30 per cento in più di una normale): il diritto alla vita vera, a stare un giorno in famiglia, con l’uomo o con la donna che si ama, con gli amici più cari, in alcuni giorni particolari, come possono essere le domeniche, i giorni festivi, Pasqua e Natale, non è negoziabile. Per nessuna cifra.
Seconda cosa da chiarire: questo sito non ha nulla contro gli outlet. Anzi. Li consideriamo luoghi dove è possibile anche risparmiare e fare dei buoni affari, e non a caso abbiamo pubblicato la mappa più seguita sul web dei migliori outlet in Italia. Quindi il nostro no all’apertura non è contro qualcuno, ma per qualcuno: e in questo ci sono i poveri dipendenti che di fatto sono costretti a lavorare, e i poveri consumatori che vengono catturati attraverso la leva dello shopping compulsivo, non stop tutti i giorni, 24 ore su 24, con un calendario che diventa così la prima fonte di enormi sprechi negli acquisti.
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NEGOZI APERTI NEI GIORNI FESTIVI
E non venitemi a parlare di ripresa dei consumi o di libera concorrenza in un libero mercato. I consumi non si riprendono drogandoli, ma anzi si riprendono qualificandoli e orientandoli a scelte utili, responsabili e anche frivole, se volete, ma sempre rispettose delle persone (comprereste oggetti sapendo che sono stati realizzati da bambini minorenni al lavoro tutto il giorno?). Richiamare con le sirene dell’apertura festiva, senza alcun freno, la tribù dello shopping è invece irresponsabile. Quanto alla libertà di mercato e di impresa, in questa storia non c’entra un fico secco. Abbiamo già una legislazione che lascia i commercianti liberi di decidere se e quando aprire. Non basta? Vogliamo lo shopping selvaggio? Per accontentare qualche grande marchio e i loro interessi? Semmai aprire un outlet o un centro commerciale in giorni così sacri, è un atto di concorrenza sleale, in quanto i piccoli commercianti non lo faranno certamente, e quindi perderanno clienti e vendite con questa forzatura. E chissà che dietro la richiesta da rispedire al mittente, non ci sia proprio questo obiettivo: dare un colpo mortale al già fragile tessuto del piccolo commercio locale e di territorio. Quello che, come consumatori e come cittadini, dobbiamo invece difendere con i denti.
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