La politica fiscale in Italia, come in tutta Europa, oggi si muove tra Scilla e Cariddi. Da un lato sono necessarie forti riduzioni dei disavanzi per evitare aumenti dei tassi d’interesse e possibili crisi da debito. Dall’altro una stretta fiscale potrebbe mettere in pericolo la modesta ripresa in atto. In questo momento a noi pare che il rischio piu’ grave per l’Italia sia il primo, dato il rapporto debito/Pil del 120%.
Ecco perche’ serve una politica fiscale rigorosa in termini di quantita’ e soprattutto di qualita’, cioe’ di “come” si riduce il deficit. Che si debba ridurre la spesa e non aumentare le aliquote e’ per fortuna cosa ormai entrata nel lessico politico. Ma tagli temporanei che solo spostino le spese in avanti, e che non incidano sui parametri di spesa automatica servono a poco. Soprattutto non basterebbero oggi perche’ mercati sofisticati e attenti non si fanno ingannare con cosi’ poco.
Ci rendiamo conto che e’ facile invocare tagli alla spesa standosene comodamente seduti nei propri uffici all’universita’, e sappiamo bene quali siano i vincoli politici. Ma il rischio e’ serio. La probabilita’ di una perdita di fiducia dei mercati nei confronti dell’Italia per il momento e’ remota, ma se si verificasse sarebbe un evento dalle conseguenze estremamente severe. Bisogna dunque giocare d’anticipo perche’ se i mercati dovessero preoccuparsi, anche un surplus primario servirebbe a ben poco data la montagna di debito che l’Italia ha accumulato: i mercati guarderebbero solo al debito, e a quel punto ci sarebbe ben poco da fare. Quindi, insieme a misure che riducano subito il deficit, si deve iniziare a riconoscere che la spesa per pensioni e impiego pubblico deve scendere in proporzione al Pil. L’Italia deve costruire un sistema di welfare basato su sussidi temporanei a disoccupati, non su posti di lavoro pubblici permanenti e pensioni d’invalidita’ fasulle, e l’eta’ pensionabile deve gradualmente salire dati gli andamenti demografici.
Alla luce di tutto questo, come valutare la manovra del governo? Sul fronte della spesa vi sono quattro elementi positivi. Il piu’ importante, sia quantitativamente che come segnale di svolta, e’ il blocco dei salari pubblici e la riduzione, seppur di poco di quelli piu’ alti.
Un secondo intervento positivo e’ su regioni, province e comuni: tagli di 4 miliardi nel 2001 e 7 miliardi nel 2012, con un inasprimento delle sanzioni (compresa l’ineleggibilita’) per gli amministratori che sforano, e un limite alle assunzioni. Il pubblico impiego regionale e’ spesso ancora piu’ inefficiente di quello centrale. Mai come in questo caso pero’ il diavolo e’ nei dettagli: un conto e’ tagliare i trasferimenti alle regioni, un altro e’ suggerire dove e come tagliare. E non e’ chiaro se le misure discriminino in modo adeguato tra regioni virtuose e quelle, come Lazio e Campania, che da anni usano la spesa sanitaria in modo irresponsabile.
La terza area d’intervento sono i costi della politica (anche se dal Cdm sono scomparsi i tagli, gia’ minimi, per i parlamentari e i giudici della Corte costituzionale) e l’abolizione di molti enti inutili. Queste sono misure di facciata nel senso che la loro dimensione non ha un significato macroeconomico; ma non c’e’ motivo per non attuarle, e in ogni caso in politica i simboli hanno la loro importanza.
La quarta area sono i tanti provvedimenti per ridurre le spese della pubblica amministrazione, dagli organi collegiali alla formazione (notoriamente una fonte di grandi sprechi) alle auto blu. Realisticamente, anche queste misure non porteranno a una rilevante riduzione del deficit (e non tutte verranno attuate), ma anch’esse andavano prese. Nel complesso, l’impressione e’ che per la prima volta si sia cercato di dare un contenuto concreto alla famosa espressione “ridurre gli sprechi”.
L’area dove persistono ambiguita’ e debolezze sono le pensioni. Si e’ fatto qualcosa per le pensioni d’invalidita’, si e’ di fatto accelerato di due anni il processo d’innalzamento dell’eta’ pensionabile per le dipendenti statali, e si e’ ridotta a una la finestra in uscita. Non molto da un punto di vista strutturale. Ma e’ importante l’aver segnalato che le pensioni non sono intoccabili, e che l’aumento dell’eta’ pensionabile e’ un processo inesorabile che non va rallentato, anzi accelerato.
Secondo il governo, la manovra dovrebbe ridurre il disavanzo dello 0,8% nel 2011 e nel 2012. Molto dipendera’ dall’esito della lotta all’evasione e del minicondono, entrambi i quali sono tipicamente sovrastimati nelle Finanziarie. Gli effetti sulla spesa saranno dunque contenuti, probabilmente meno dello 0,5 per cento. Non vediamo quindi come si possa parlare di “manovra lacrime e sangue”; il pregio della manovra, piu’ che nella quantita’, e’ nella qualita’. Era il minimo che si poteva e doveva fare nella situazione attuale, ma va dato atto al governo (o almeno a una parte di esso) che l’ha fatto affrontando alcuni temi spinosi. Il difficile pero’ viene adesso: un conto e’ annunciare che si vuole bloccare gli stipendi degli statali fino al 2013; un altro e’ resistere per tre anni alle inevitabili pressioni. Staremo a vedere.
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