Felice Costa avrà le sue buone ragioni per difendere con i denti, e in punta di cavilli giuridici, la sua pensione d’oro pari a 1.400 euro al giorno. Ma il fatto resta emblematico di come si sprecano i soldi pubblici, alimentando privilegi, ingiustizie e anche distacco da una politica che, con la solita complicità dell’amministrazione, ha perso qualsiasi contatto con la realtà.
I fatti sono chiari, almeno sulla carta. Costa, dirigente della regione Sicilia, ha fatto per alcuni mesi il capo dell’Agenzia dei rifiuti – sì, avete capito bene: di quella spazzatura che sommerge mezza isola – con uno stipendio di 460mila euro l’anno concesso dall’allora presidente della giunta Totò Cuffaro. Nello stesso tempo una leggina regionale gli ha consentito, nel giro di pochi mesi, di andare in pensione con un parametro legato a questo maxi stipendio. Quando è arrivato il successore di Cuffaro, Raffaele Lombardo, la maxi pensione di Costa, 1.400 euro al giorno, è finita davanti alla Corte dei Conti. Due sentenze per ridurre lo spreco previdenziale pagato dai contribuenti, e adesso siamo all’ultimo atto: il giudizio finale spetta alla Cassazione della Corte dei conti, dove Costa ha tirato fuori il suo cavillo salva-pensione.
Vedremo il finale di partita, ma intanto ci sono già due considerazioni da fare. Il caso Costa non è isolato: in Sicilia sono abituati a governare, abusando della loro totale autonomia, con leggi scritte per favorire le oligarchie locali e mascherare gli sprechi della spesa pubblica. Da sempre. Quindi, sentenze a parte, bisognerebbe una volta per tutte mettere in discussione il meccanismo di abusi così ben oliato in Siclia e in tutte le regioni a statuto speciale: questo sarebbe un atto politico serio, da veri riformisti interessati al bene comune e non agli interessi di qualche tribù. In secondo luogo, la storia ci insegna come le complicità attorno alle quali si costruiscono questi scandali sono molto ampie e non riguardano solo la politica che quasi sempre rispecchia, nei suoi comportamenti, la società dove è radicata. E tutto si tiene, anche nella catena degli sprechi.
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