Leggo un’interessante inchiesta sul settimanale Sette, firmata da Sara Gandolfi, e mi accorgo che sugli asili nido siamo un Paese che arretra invece di avanzare. L’ultimo rapporto dell’Istat, infatti, ci dice che la copertura, tra asili e servizi integrativi, non supera il 18,9 per cento (quasi dieci punti in meno rispetto alla media europea), le liste d’attesa sono lunghissime, e per molte mamme che lavorano c’è il problema di dove lasciare il proprio figlio durante il turno in azienda.
Inoltre, il quadro nazionale non è omogeneo e, come al solito, le punte più basse si registrano nelle regioni meridionali. In Emila Romagna, Toscana, Umbria e Lazio, per esempio, siamo attorno al 30 per cento, in linea con la media europea, mentre in Sicilia, Campania e Calabria a stento si arriva al 10 per cento. Lorenzo Campioni, pedagogo e presidente dell’associazione Gruppo Nidi Infanzia, fa una proposta interessante: “Le risorse scarseggiano, nonostante i mille impegni di tutti i ministri di turno, e i comuni sono a corto di soldi. Ma allora perché non attingere, anche solo per una quota, dai risparmi derivanti dai tagli ai costi della politica? Sarebbe un bel segnale, si eliminano sprechi e si rilanciano servizi essenziali per i cittadini”.
Già un bel segnale: ma intanto il governo non ha messo un euro nella legge di stabilità a favore dell’infanzia, scaricando tutto su comuni e regioni che sono in bolletta. E così gli italiani, sempre abilissimi nella loro capacità di adattamento, si affidano ai nonni. Pensate: il 67,8 per cento dei bimbi tra 0 e 2 anni sono affidati ai nonni. E per fortuna che ci sono loro!
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