La Corte dei Conti ha appena fatto le pulci agli stipendi e alla produttività dei pubblici dipendenti e Sergio Rizzo, sul Corriere della Sera, ha riferito con implacabile puntualità tutti i rilievi avanzati dalla magistratura contabile. Faccio tre considerazioni, riferite proprio ai numeri più significativi del rapporto della Corte dei Conti. La prima: un dipendente pubblico costa a ciascun italiano circa quasi 3mila euro l’anno, meno di altri paesi come la Gran Bretagna e la Francia, e più o meno quanto la Germania. Il problema, quindi, non è il quantum, ma il come si guadagnano questi soldi. E qui le generalizzazioni non valgono più perchè nella pubblica amministrazione siamo pieni, e lo sappiamo tutti, di bravi lavoratori e autentici lavativi, di insegnanti-eroi e di furbacchioni, o furbacchione, truccati da maestri. Quello che serve non sono più le generiche riforme, ma una intelligente, costante e chirurgica azione politica, amministrativa, sindacale che non dia sponde ai lavativi e consenta di gratificare i veri lavoratori, anche con concrete gratificazioni. E’ lavoro di tutti i giorni, non un proclama da sparare con un titolo sui giornali. Ed è un lavoro da fare insieme, ovunque ci sia l’etichetta della pubblica amministrazione. Seconda considerazione: mettere a regime la pubblica amministrazione in Italia, aumentando gratifiche e produttività, significa avere un’idea di sistema Paese. Dunque, è sconcertante come da anni mentre si annunciano, e in qualche caso si fanno, riforme, ogni ministro che arriva poi tira fuori la sua ricetta magica. Renato Brunetta ha fatto delle cose buone in questo settore? E allora il ministro Filippo Patroni Griffi le valorizzi, senza demolirle. Terzo: i permessi sindacali censiti dalla Corte dei Conti nella pubblica amministrazione valgono 151 milioni di euro tondi tondi, come il distacco di 4.569 lavoratori. Sono troppi. La tutela sindacale è un diritto e va salvaguardato, il distacco a pioggia è uno spreco, che come al solito colpisce i lavoratori rigorosi e onesti e gli italiani che alla fine pagano il conto.
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