Universitari in calo in Italia: i laureati non crescono più e in tanti fuggono all’estero

I giovani laureati italiani sono il 13 per cento della popolazione, la quota più bassa d'Europa, con un tasso di abbandono che sfiora il 45 per cento, un altro triste primato continentale. E, per non finire, negli ultimi quattro anni degli italiani che hanno lasciato il Paese uno su quattro aveva una laurea

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UNIVERSITARI IN CALO IN ITALIA –

Siamo alla crescita zero, in materia di istruzione superiore. Per la prima volta dal 1945 il numero di laureati disponibili per le imprese sta smettendo di crescere e la nostra quota di giovani laureati scende al 13 per cento della popolazione, la più bassa d’Europa, mentre il tasso di abbandono sfiora il 45 per cento, altro record negativo all’interno dei paesi dell’Unione. Un doppio disastro generazionale, un doppio spreco, che rischia di compromettere in modo irreversibile il futuro dell’Italia. Per fare un esempio e un confronto, solo in Francia e in Germania la popolazione laureata cresce a un ritmo pari al doppio rispetto a noi, E anche la Spagna ci ha surclassato.Mentre, secondo i calcoli dell’Istat, negli ultimi quattro anni aveva una laurea una persona su quattro di quelle che hanno lasciato l’Italia. E ormai a lasciare il Paese non sono più solo gli uomini, ma anche le donne.

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LAUREATI IN CALO IN ITALIA –

La tendenza è confermata anche dai dati Ocse dello scorso novembre, secondo i quali nella classifica dei 34 paesi più industrializzati del mondo l’Italia è ultima per numero di laureati. Ne abbiamo meno della metà rispetto a paesi avanzati come l’Australia e il Giappone e venti punti in meno, in percentuale, di Spagna, Austria e Regno Unito. Perché così pochi laureati? Paghiamo il prezzo della “licealizzazione” dell’università con la catastrofica riforma che ha introdotto la laurea triennale: non ha alcun valore per trovare un posto, i giovani lo sanno e si fermano prima. In secondo luogo l’università continua a essere oggetto di tagli orizzontali e di blocchi del turn over, che penalizzano il sistema nel suo complesso senza incidere sulla riduzione degli sprechi, ancora troppi. Un’università con i conti in regola, e con buone performance sia scientifiche sia per il numero dei laureati, non può assumere un giovane ricercatore esattamente come un ateneo in default.

BASSO TASSO DI OCCUPAZIONE IN ITALIA –

Infine, paghiamo il prezzo di un sistema che, specie nelle regioni meridionali, è molto avaro in borse di studio, alloggi e mense. Ovvero le condizioni di base per l’accesso all’università da parte di chi non ha le spalle solide di una famiglia benestante. Così le borse di studio nelle regioni del Nord vengono concesse a tutti gli studenti idonei, in Sicilia, per fare un esempio di una regione del Sud, solo al 32 per cento. Il risultato di questo sistema ingiusto e poco efficace è che ogni anno circa1100mila italiani vanno a cercare fortuna all’estero, e di questi il 36 per cento sono studenti tra i 18 e 34 anni. Un’emigrazione che non si vedeva dagli anni Cinquanta del secolo scorso.

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