Anche Barack Obama ha deciso di ridursi lo stipendio: meno 5 per cento, in segno di solidarietà con tutti i dipendenti dell’amministrazione federale colpiti dalla scure degli 85 miliardi di tagli che scattano automaticamente negli Stati Uniti, in assenza di un accordo politico tra repubblicani e democratici. Il taglio di Obama va di pari passo con i giorni di riposo, non retribuiti, dei suoi dipendenti. E viene dopo la decisione del segretario alla Difesa, Chuck Hagel, di rinunciare a 14 giorni di stipendio, come i lavoratori impiegati nel settore di sua competenza.
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Con il taglio abbiamo appreso anche due dettagli singificativi: lo stipendio di Obama è attorno ai 400mila dollari, tutto compreso, e la sua dichiarazione dei redditi lo scorso anno, insieme a quella della moglie, è stata di 790mila dollari, comprendendo anche i diritti di autore sui suoi libri. Nel 2009 la coppia Obama dichiarava 5,5 milioni di redditi l’anno. Dunque: con la politica Obama non solo non si è arricchito, ma ci ha perso sul piano patrimoniale.
La lezione di Obama ci aiuta a ragionare sui tagli che, a singhiozzi, si stanno facendo anche nel circuito della politica italiana. Hanno iniziato i presidenti della Camera e del Senato, e adesso vedrete che altri seguiranno. Qualcuno mugugna: piccole cose e demagogia. Non è vero. Intanto i tagli, sommati, non sono piccoli e poi comunque rappresentano un gesto concreto di realismo, in un periodo nel quale tutti i cittadini sono colpiti dalla recessione e dalla diminuzione delle risorse pubbliche. La politica deve fare anche questo. Inoltre, non è demagogia dare segnali forti all’opinione pubblica, laddove la politica è al minimo livello di consenso anche e innanzitutto per i suoi costi assurdi, gli sprechi e i privilegi che contengono. Piuttosto c’è da riflettere sul fatto che in America questi tagli si fanno senza polemiche e spinte esterne, in Italia serviva la valanga Grillo per muovere le acque.
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