A proposito di lavoro, e in particolare di lavoro dei ragazzi, oggi vi voglio parlare dei giovani medici. Domanda: perché una delle poche attività professionali dove c’è lavoro e buone prospettive di occupazione a breve, medio e lungo termine, viene colpita dalla scure del ministero dell’Università che ha pensato bene di tagliare del 23% i posti disponibili nella facoltà di Medicina? Qualcosa non quadra. Lo dice innanzitutto la logica e la statistica. Nel 2013, anno orribile per il lavoro in Italia, tra le poche professioni dove si sono creati nuovi posti (1.200 per la precisione) ci sono i medici. In Lombardia, dove la sanità pubblica e quella privata, nonostante i gravi scandali e le inchieste della magistratura, restano un’eccellenza, c’è un buco di circa 5mila medici che mancano all’appello. Non solo. La pletora di medici laureati negli anni Ottanta, quando non esisteva il numero chiuso nelle università, si sta sgonfiando perché quelle generazioni vanno in pensione. Con il risultato che nel 2020 in Italia mancheranno 50mila medici. Dove li prenderemo? Faremo un bando per farli arrivare dall’estero? Già perché il 2020 è proprio l’anno nel quale gli iscritti di oggi all’università dovrebbero avvicinarsi al lavoro, considerando che un ciclo completo di studi in medicina dura circa dieci anni, compresa la specializzazione.
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Dunque, servono medici, possibilmente bravi e ben preparati. E invece il governo, con un misto di approssimazione politica (chissà se il ministro Maria Chiara Carrozza ha letto bene il decreto uscito dalle stanza di viale Trastevere) e di linguaggio da mandarini ministeriali (il taglio dei posti nelle facoltà viene definito “provvisorio” in attesa di conoscere un fantomatico “fabbisogno nazionale”), ha deciso, ope legis, che in Italia i medici non servono. Con uno spreco enorme, di cui qualcuno dovrà pure rispondere, in termini di opportunità per i giovani che cercano lavoro e per l’intero sistema Italia che rischia di impoverirsi ulteriormente lungo la frontiera dell’assistenza sanitaria. In questa contraddizione si coglie un tentativo, neanche troppo dissimulato, di proteggere i soliti privilegiati, di blindare un intero settore professionale con il relativo mercato nella mani di corporazioni che continuano a calpestare gli interessi del Paese. Grazie a un’esplosiva miscela di nepotismo sfacciato, specie in quelle università di Medicina dove il governo con le sue restrizioni sta cacciando di fatto 2mila potenziali, futuri dottori, e di un ascensore sociale bloccato, la salute degli italiani corre ulteriori rischi, altro spreco in questa triste vicenda, e in questo caso per mancanza di adeguate risorse professionali.
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Un solo numero, di fonte Alma Laurea: il 40 per cento dei medici in Italia sono figli di medici. Con i nostri professori delle università di medicina, spesso piccoli feudatari accademici, che hanno imbottito le loro facoltà di mogli, figli, nipoti, amanti. Tutti tranne che dei validi formatori universitari. Stesso discorso, molto frequente specie nei posti di primariato, negli ospedali, con il Sud e le zone più deboli del Paese particolarmente colpite da questa trasmissione per via ereditaria, o per clientela di basso rango, di un mestiere così nobile e significativo. Tanto che i medici più bravi, spesso, rinunciano sia alla carriera universitaria sia a quella negli ospedali pubblici, e svolgono solo attività privata, proprio per evitare di essere risucchiati da questo meccanismo feudale.
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Infine, nella trappola perfetta costruita dal decreto ministeriale c’è da ricordare l’assurdità, in generale, del criterio di accesso a numero chiuso nella facoltà di medicina, con un quiz, roba da Motorizzazione civile per distribuire patenti, che si riduce a 60 quesiti ai quali bisogna rispondere in 100 minuti. Che cosa c’entri questo con una vera e sana selezione di bravi, futuri medici, è un mistero. O meglio: è la solita via italiana al caos, alla dequalificazione, alla riffa. Perché in tanti Paesi del mondo, dove le opportunità di lavoro nel settore della medicina non mancano e la formazione universitaria è di altissimo livello, i quiz non esistono, e le strade della selezione sono più naturali ed efficaci. E ovunque i figli dei medici hanno la possibilità di seguire le orme dei genitori, un’aspirazione legittima e comprensibile, ma lo fanno attraverso un percorso ordinario di formazione, di preparazione e di selezione, sulla base delle capacità e delle competenze. E non con il calcio nel sedere del baronetto universitario di Medicina, una figura ormai cronica nelle nostre facoltà, che magari predica la deontologia professionale, e quella dei medici è particolarmente preziosa, e poi trucca le carte di un concorso per piazzare il parente di turno.
Da Il Mattino
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