Nasciamo tutti uguali, con stessi obblighi e stesse opportunità. Una vecchia storia felice, uno slogan che spesso risuona in frasi di circostanza. Ma sappiamo che, nella realtà, non è proprio così. Almeno non per tutti. Valeria Olivotti, 33 anni, aiutata dalla madre Donatella Montani, sordomuta dall’età di tre anni, è la prova di quante barriere e pregiudizi ancora dividano membri della stessa società. E allo stesso tempo la sua storia dimostra come nella vita sia possibile non sprecare le proprie qualità e le proprie energie, attraverso la forza di volontà tipica delle persone coraggiose. Valeria è riuscita a realizzare il suo sogno: un ristorante per i sordi.
ONE SENSE RISTORANTE PER SORDI
One Sense, questo il nome del locale, è situato nel cuore della Garbatella, un quartiere popolare di Roma, ed è uno dei pochi locali al mondo dove si può ordinare in Lis, la lingua dei segni italiana, e anche nella lingua dei segni internazionali (Sign International).
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RISTORANTE CON PERSONALE NON UDENTE
Valeria, per tutti “Valla”, è una giovane imprenditrice romana, diplomata ed esperta nel settore manageriale del bartending, ma che, a causa della sua disabilità, è stata spesso respinta. «Ho avuto una vita tutta in salita – dice Valla – come del resto accade alle persone sorde che vivono in un mondo dove vige ancora il pregiudizio che noi, con la nostra ‘disabilità’ invisibile, non siamo in grado di condurre una vita normale. Noi non la viviamo come un problema, ma solo come un dato di fatto». Forte della sua voglia di integrarsi e ancor più distinguersi positivamente, ha deciso di aprire un’attività di ristorazione unica nel suo genere, sostenuta dalla mamma Donatella Montani, imprenditrice nel settore immobiliare: «Ho impiegato due anni per trovare la location giusta – continua Valeria – visto che doveva essere grande e in un quartiere popolare di Roma, dove è più facile trovare cittadini aperti all’integrazione con i disabili».
A partire dalla location, nulla è stato lasciato al caso. Il menù, della cui cura si è occupato lo chef Fabio Campioli, è basato su prodotti solidali e biologici provenienti dalle comunità di Capodarco e San Patrignano. Ad ogni pietanza è associato un numero, in modo da rendere più semplice la comunicazione tra udenti e non udenti, ospiti e personale di sala. L’ambiente, ampio, moderno e in stile industriale, è reso accogliente dall’utilizzo di colori caldi e luminosi e comprende scaffali sui quali sono riposti alcuni libri sulla sordità e dizionari della lingua dei segni. Anche la ricerca del personale e la loro formazione è stata complessa: «Diversi addetti ai lavori – racconta la Olivotti – non si sono sentiti pronti a collaborare con il personale sordo». Oggi, però, quasi tutto i dipendenti padroneggiano con maestria la Lis, permettendo a tutti di lavorare in armonia, fianco a fianco.
LINGUAGGIO DEI SEGNI RISTORANTE
Per Valeria, One Sense non rappresenta solo una sfida personale vinta, ma anche un ambizioso progetto di inclusione sociale. Vorrebbe che la sua particolarità, come quella di tutte le persone come lei, non rappresentasse una mancanza, bensì un’estensione in grado di amplificare altri sensi. È da qui che muove la sua straordinaria idea di ristorazione, convinta che alla base del consumo del cibo, un atto così semplice e quotidiano, ci sia un’esperienza di profonda condivisione, in cui tutti ci muoviamo insieme, a senso unico.
Le immagini sono tratte dalla pagina Facebbok One Sense.
Il progetto “One Sense” è candidato al Premio Non Sprecare 2020. Per candidare i vostri progetti, seguite le istruzioni fornite qui.
PREMIO NON SPRECARE 2020:
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