Ventidue lavoratrici del settore della moda colpite duro dalla scure della crisi del mercato, dalla concorrenza al ribasso e dalla chiusura per fallimento della cooperativa che le aveva assunte. Destinate alla disoccupazione e allo spreco delle competenze acquisite in anni e anni di lavoro ad alta specializzazione, rischiando di buttare alle ortiche un’eccellenza italiana.
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OPERAIE SALVANO IL CENTRO MODA POLESANO
Eppure, non sono finite al tappeto: con il coraggio e la determinazione delle donne non si sono arrese, hanno deciso di costituirsi loro stesse in una cooperativa ex novo ed avviare una start-up tutta al femminile per continuare la produzione. La storia del Centro Moda Polesano è tutta qui, una “semplice” storia di coraggio che in un contesto come quello italiano ha del miracoloso, perché gli ostacoli da superare sembrano, a volte, insormontabili. Nel Belpaese nove start-up su dieci falliscono, per non parlare delle imprese rosa, a cui le banche faticano a concedere credito di impresa, con buona pace della retorica sull’imprenditoria al femminile e sul sostegno alle donne-lavoratrici.
Nel 2018 l’azienda manifatturiera dove erano impiegate, la Capa, fondata nel 1962 e presto diventata un punto di riferimento nel settore dell’alta-moda femminile, ha dichiarato fallimento, destinandole alla Naspi e a un futuro incerto. Dopo un primo, inevitabile, momento di sconforto, le ventidue dipendenti, giovani e meno giovani, hanno deciso di cambiare il corso degli eventi con tenacia, responsabilità e buone dosi di rischio, hanno rilevato l’azienda diventando imprenditrici di loro stesse, salvando i posti di lavoro, arrivando addirittura a crearne di nuovi. Lo chiamano workers buyout, lessico economico per indicare un’impresa recuperata e rigenerata dai lavoratori e dalle lavoratrici, cosa che nella storia delle imprese di questo paese è un evento meno raro di quanto sembri.
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CENTRO MODA POLESANO MASCHERINE
I fondi per salvare la cooperativa di Stienta, in provincia di Rovigo, sono arrivati dall’anticipo della Naspi, da un apposito fondo stanziato da Legacoop Veneto (che ha accompagnato le lavoratrici in tutto il percorso di costruzione di questa avventura, dal business plan alla gestione dei conti) e da Banca Popolare Etica. In due anni, non solo sono state in grado di continuare la produzione già avviata, ma anche di riconfermare e ampliare le commesse per i grandi marchi del made in Italy, clienti che hanno deciso di scegliere ancora l’esperienza delle donne e il loro elevatissimo grado di specializzazione. Alle socie lavoratrici, poi, si sono aggiunte da subito 11 lavoratrici dipendenti, e altre assunzioni sono arrivate poi: oggi la cooperativa conta 39 persone occupate, la più giovane delle socie ha 27 anni e la più anziana 60.
Neanche la crisi da Covid-19 è riuscita a farle cadere: come giunchi flessibili si sono adattate alla tempesta, non spezzandosi, bensì riconvertendo la produzione per l’approvigionamento di mascherine di cotone, lavabili e riutilizzabili. Dalla sede di viale dell’Artigianato, escono ogni giorno 25mila mascherine antigoccia e antimicrobiche, che dopo il lavaggio e la disinfezione, posso essere indossate altre cento volte. L’obiettivo è quello di raddoppiare la quantità, facendo rete con altre undici realtà cooperative, formate a distanza attraverso una sorta di didattica on-line.
(Immagine in evidenza tratta dal sito La Voce Online // Photocredits: La Voce Online)
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