COSA PENSANO GLI ITALIANI DEL FUMO
«Qui si può fumare?». Il tabagista incallito pronuncia questa domanda di rito, quando è ospite, con sempre più timidezza. Oramai sa bene che la sigaretta non solo fa male, ma è out, un oggetto repellente, escluso da qualsiasi codice delle buone maniere. La Giornata Mondiale senza tabacco (31 maggio) è una data idonea per misurare quanto l’atteggiamento degli italiani si sia capovolto rispetto alle sigarette, ieri status symbol di sana trasgressione, di pensiero profondo e perfino di benessere, oggi icona di un vizio assurdo, non tollerato e giudicato al confine con la cafonaggine.
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OPINIONE DEGLI ITALIANI SUL FUMO
Negli anni Cinquanta il ministro delle Finanze, Ezio Vanoni, diceva: «La prima statistica da guardare, per capire la ricchezza degli abitanti in ciascuna regione, è il consumo di sigarette». Oggi solo il 14 per cento degli italiani consente a qualcuno di fumare nelle proprie case: era il 43 per cento, il triplo, alla vigilia dell’introduzione della legge Sirchia che da un quarto di secolo ha vietato le sigarette nei luoghi pubblici e nei posti di lavoro. E appena il 3,8 per cento degli automobilisti è disposto a tollerare la sigaretta accesa in macchina da parte di un compagno di viaggio. «E’ in atto un cambiamento dirompente che colloca i fumatori in un girone infernale di esclusi, di persone sgradite. E per loro sarà sempre peggio…» commenta Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio Alcol, fumo e droga dell’Istituto superiore della Sanità. E aggiunge: «Prima o poi arriverà anche in Italia una legge che vieta il fumo nei parchi e negli spazi verdi. L’aria aperta non elimina alcune controindicazioni, una sigaretta accesa a Villa Borghese è una fonte di inquinamento e un gesto che spinge all’abitudine di fumare».
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NORME ANTIFUMO E SIGARETTA SENZA COMBUSTIONE
Tutti gli italiani, 9 su 10, vogliono che le norme antifumo siano rispettate. E gli oltre 11 milioni di fumatori (la media nazionale è di 13 sigarette al giorno) avranno una vita sempre più dura, non solo per i divieti ma proprio per l’ostilità crescente che dovranno affrontare. Un cambio di paradigma che hanno capito molto bene le multinazionali del tabacco, ormai impegnate a ridurre i danni per i loro fatturati con i prodotti di nuova generazione, sigarette che, almeno sulla carta, dovrebbero fare meno male alla salute. Mentre il boom della sigaretta elettronica appare evaporato, anche perché è dimostrato che il 70 per cento di questi consumatori sono duali, ovvero aspirano anche sigarette normali, avanzano i prodotti di nuova generazione. La Philip Morris, che controlla il 52 per cento del mercato italiano, ha un obiettivo preciso: spostare in pochi anni i suoi clienti dai pacchetti tradizionali agli stick di sigarette con tabacco riscaldato, senza combustione. Un’operazione che però deve fare i conti con un esame scientifico, previsto da un decreto dell’agosto del 2017, da parte dell’Istituto superiore di Sanità. Una valutazione che dica con chiarezza se e come i rischi delle nuove sigarette siano davvero molto ridotti rispetto a quelle tradizionali. La Philip Morris ha preso tempo e soltanto qualche settimana fa, come abbiamo scoperto, ha presentato le sue carte. Ora i tecnici dell’Istituto Superiore di Sanità hanno 180 giorni per emettere il loro verdetto. «Sono molto scettica sull’efficacia, per la salute dei fumatori, dei nuovi prodotti. Il vero deterrente sarebbe quello di raddoppiare il prezzo delle sigarette, attualmente troppo basso in Italia» avverte Roberta Pacifici.
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DIFFUSIONE FUMO TRA I GIOVANI
Piuttosto le prossime campagne contro il fumo, secondo gli esperti dell’Osservatorio, dovrebbero puntare a scoraggiare la fascia di giovani, tra i 15 e i 24 anni, l’età di iniziazione alla sigaretta nel 70 per cento dei fumatori: anche se non fumano 8 Millennials su 10. Nel mirino ci sono innanzitutto le fiction made in Italy, dove, attraverso la pubblicità occulta, la sigaretta come status symbol uscita dalla porta principale rischia di rientrare dalla finestra. «Non c’è una fiction italiana senza continue immagini di gente che fuma. E mi chiedo con quale coerenza la Rai manda in onda, per pochi intimi, spot contro il fumo da Pubblicità Progresso e fiction, per milioni di telespettatori, dove le sigarette sono sempre nella bocca dei protagonisti» protesta il direttore dell’Osservatorio alcol, fumo e droga. D’altra parte, il fumo anche se out resta la prima causa di morte in Italia, con circa 80mila decessi l’anno. Troppi, sebbene i tabagisti nelle nostre case debbano lasciare in tasca il loro pacchetto di sigarette.
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