Il Morbo di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più diffusa nel mondo. Si tratta di una patologia cronica, progressiva, che colpisce sia le attività motorie sia quelle cognitive. Il fattore di rischio più diffuso è sicuramente l’età avanzata, ma il Parkinson si presenta anche in forme con esordio in età più giovane.
Indice degli argomenti
MORBO DI PARKINSON
Il Parkinson rappresenta una delle patologie neurodegenerative più comuni, collocandosi al vertice dei cosiddetti disordini del movimento dopo l’Alzheimer. Questa malattia sorge con la diminuzione eccessiva della dopamina nel cervello, dovuta alla degenerazione dei neuroni nella zona denominata “sostanza nera”, con una perdita cellulare che supera il 60% all’apparizione dei primi sintomi.
La malattia è legata anche ad un successivo accumulo di una proteina nota come “alfa-sinucleina” che sembra giocare un ruolo chiave nella diffusione del disturbo nell’intero cervello.
Nonostante la durata della fase preclinica, ovvero l’intervallo tra l’inizio della degenerazione neuronale e la comparsa dei sintomi motori, non sia precisamente definita, ricerche suggeriscono che questa possa estendersi fino a circa 5 anni.
In Italia, si stima che circa 300.000 persone soffrano di Parkinson. Questo dato riflette non solo l’impatto nazionale della malattia ma anche la sua rilevanza a livello globale, considerando che sono presenti circa 10 milioni di persone affette da Parkinson nel mondo.
Questo morbo è classificato come una delle condizioni neurologiche in più rapida crescita al mondo, con proiezioni che indicano un potenziale raddoppio dei casi entro il 2050, sottolineando l’urgente necessità di avanzamenti nella ricerca e nel trattamento.
SINTOMI
Il Parkinson si manifesta con sintomi che possono variare notevolmente tra i pazienti. La progressione della malattia è graduale, con sintomi che evolvono, partendo da lievi fino ad arrivare a sintomatologie più severe nel tempo. Di seguito, i sintomi sono divisi in iniziali e finali per fornire una panoramica chiara della progressione della malattia.
I SINTOMI INIZIALI
- Tremori a riposo: Uno dei segni più comuni e precoci, specialmente nelle mani o nelle dita.
- Rigidità muscolare: Difficoltà nel movimento e rigidità nelle braccia, nelle gambe o nel tronco.
- Bradicinesia (lentezza dei movimenti): Una riduzione dell’automaticità dei movimenti, che rende difficili compiti semplici.
- Instabilità posturale: Problemi di equilibrio e coordinazione.
I sintomi possono iniziare in modo così lieve da essere inizialmente trascurati. Spesso, i sintomi iniziano su un lato del corpo e possono rimanere più gravi da quel lato anche dopo che entrambi i lati sono coinvolti.
I SINTOMI FINALI
Man mano che la malattia progredisce, i sintomi iniziali diventano più evidenti e debilitanti. Inoltre, possono comparire nuovi sintomi:
- Complicazioni motorie: Nonostante il trattamento, possono verificarsi complicazioni come la discinesia (movimenti involontari).
- Difficoltà cognitive e demenza: Problemi di memoria, concentrazione e decisione.
- Problemi emotivi: depressione, ansia e apatia.
- Difficoltà nel parlare e deglutire: Il parlare può diventare più morbido e monotono, mentre la deglutizione può diventare più difficile.
- Problemi di sonno: Dalla difficoltà a dormire a rimanere addormentati, fino a disturbi del sonno REM.
- Disfunzioni autonomiche: Compresi problemi alla vescica, costipazione e disfunzione erettile.
CAUSE
La malattia di Parkinson è un disturbo complesso e multifattoriale, le cui cause esatte rimangono in gran parte sconosciute. Tuttavia, la ricerca ha identificato una combinazione di fattori genetici e ambientali che possono contribuire allo sviluppo della malattia.
FATTORI GENETICI
- Predisposizione genetica: In alcuni casi, il Parkinson è ereditario, con specifiche mutazioni genetiche associate allo sviluppo della malattia. Circa il 15-25% dei pazienti con Parkinson ha una storia familiare della malattia.
- Mutazioni genetiche: Mutazioni in specifici geni, come LRRK2, PARK7, PINK1, SNCA, e VPS35, sono state collegate al Parkinson. Queste mutazioni sono più comuni in persone con una forma di malattia a esordio precoce.
FATTORI AMBIENTALI
- Esposizione a tossine: L’esposizione a pesticidi, erbicidi e metalli pesanti può aumentare il rischio di sviluppare il Parkinson. Studi epidemiologici hanno evidenziato una correlazione tra esposizione a sostanze chimiche specifiche e un maggior rischio di Parkinson.
- Lesioni cerebrali: Traumi cranici ripetuti sono stati suggeriti come fattori di rischio per il Parkinson.
PARKINSON E TRIELINA
CHI È PIÙ COLPITO DAL PARKINSON?
Non vi è alcun dubbio che il morbo di Parkinson sia una malattia neurodegenerativa la cui incidenza aumenta con l’avanzare dell’età. In particolar modo, i soggetti più a rischio sono gli adulti di età superiore ai 60 anni. Un dato che riflette il ruolo determinante dell’invecchiamento come fattore di rischio per lo sviluppo della patologia.
Dal punto di vista del genere, esiste una lieve discrepanza nella distribuzione della malattia: gli uomini presentano una probabilità leggermente superiore rispetto alle donne di sviluppare il Parkinson. Questa differenza di genere, benché non drammatica, suggerisce l’esistenza di fattori biologici e ambientali che possono influenzare la suscettibilità alla malattia.
Tuttavia, è importante notare che la ricerca sul Parkinson è in continuo sviluppo, e nuove scoperte possono fornire ulteriori insight su chi è maggiormente a rischio e perché. La comprensione della malattia continua ad evolvere attraverso studi clinici, analisi genetiche e ricerche sulle esposizioni ambientali, con l’obiettivo di sviluppare trattamenti più efficaci e strategie di prevenzione mirate.
DIAGNOSI
La diagnosi del morbo di Parkinson si basa prevalentemente su un’attenta valutazione clinica dei sintomi e della storia medica del paziente, non esistendo al momento test definitivi per la malattia. Recenti sviluppi tecnologici e di ricerca stanno ampliando le possibilità di diagnosi precoce e per una maggiore accuratezza.
ESAMI CLINICI
- Esame neurologico: Valutazione dei sintomi motori come tremori, rigidità, bradicinesia e instabilità posturale.
- Esame della storia clinica: Analisi dei sintomi presentati dal paziente e della storia familiare di malattie neurologiche.
- Test di risposta alla levodopa: Monitoraggio della risposta sintomatica alla levodopa, il principale trattamento farmacologico per il Parkinson.
- Imaging cerebrale (MRI, DATscan): Sebbene non sia utilizzato per diagnosticare direttamente il Parkinson, può aiutare a escludere altre condizioni che presentano sintomi simili.
- Test neurofisiologici: Valutazioni per escludere altre cause dei sintomi.
- SPECT e PET scan: Usati in casi selezionati per valutare la funzione dei neuroni dopaminergici nel cervello.
Uno degli sviluppi più promettenti riguarda l’uso dell’intelligenza artificiale (IA) per la diagnosi precoce del Parkinson. Un giovane di 18 anni, Tommaso Caligari, ha creato un algoritmo capace di rilevare i primi sintomi della malattia, come alterazioni minime nell’oscillazione della spalla e del gomito, che sono tra i primi segnali in fase precoce del Parkinson.
Queste variazioni sono così sottili da essere invisibili all’occhio umano. L’algoritmo sfrutta due telecamere posizionate a circa cinque metri di distanza l’una dall’altra, analizzando il cammino del paziente. Confrontando i movimenti con quelli di un gruppo di controllo composto da persone sane e pazienti con Parkinson, l’algoritmo di machine learning è in grado di identificare gli indicatori precoci della malattia. Questa innovazione, ancora in fase di test, mostra risultati sorprendenti e potrebbe diventare uno strumento di screening primario nelle diagnosi ospedaliere del Parkinson.
È importante sottolineare che gli esami sopra elencati possono supportare la diagnosi, ma non esiste un singolo test che possa confermarla con certezza. Le innovazioni come l’algoritmo di IA sviluppato da Caligari rappresentano un passo avanti verso la possibilità di una diagnosi precoce e più precisa, con l’obiettivo di migliorare l’outcome e la qualità della vita dei pazienti affetti da Parkinson.
TRATTAMENTI
Il trattamento del morbo di Parkinson è mirato a gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita, poiché attualmente non esiste una cura per la malattia. Le strategie terapeutiche possono variare a seconda dei sintomi specifici di ogni paziente e della loro severità. Di seguito, un elenco dei trattamenti comunemente utilizzati:
- Farmaci dopaminergici: La levodopa, in combinazione con un inibitore della decarbossilasi, è il trattamento farmacologico principale, mirato a rimpiazzare la dopamina mancante.
- Agonisti dopaminergici: Simulano l’azione della dopamina nel cervello e possono essere usati in combinazione con la levodopa o da soli nei pazienti più giovani.
- Inibitori MAO-B e COMT: Aiutano a prevenire la degradazione della dopamina nel cervello, estendendo l’effetto della levodopa.
- Anticolinergici: Utilizzati per controllare il tremore.
- Terapie non farmacologiche: La fisioterapia, la terapia occupazionale e la logopedia possono aiutare a gestire i sintomi motori e non motori.
- Stimolazione Cerebrale Profonda (DBS): Un intervento chirurgico per i pazienti che non rispondono adeguatamente ai farmaci, in cui elettrodi impiantati nel cervello aiutano a controllare i sintomi.
- Terapie sperimentali: La ricerca è in corso su nuovi trattamenti, come l’uso di cellule staminali e terapie geniche.
Il trattamento del Parkinson è personalizzato e richiede un approccio multidisciplinare, coinvolgendo neurologi, fisioterapisti, terapisti e altri professionisti della salute.
PREVENZIONE
Nonostante non esista una cura definitiva per il morbo di Parkinson, alcune strategie possono contribuire a ridurre il rischio di sviluppare la malattia o a gestire meglio i sintomi in coloro che ne sono già affetti. Tra queste, l’attività fisica gioca un ruolo cruciale, sia per il benessere fisico che emotivo.
Il Nordic Walking, in particolare, è un’attività fisica particolarmente benefica per i pazienti con Parkinson. Questa forma di camminata, che si avvale dell’uso di bastoncini simili a quelli dello sci, offre numerosi vantaggi:
- Miglioramento della mobilità e dell’equilibrio: Il Nordic Walking aiuta a migliorare la postura, la mobilità e l’equilibrio, riducendo così il rischio di cadute.
- Rafforzamento muscolare: L’uso dei bastoncini durante la camminata coinvolge anche la parte superiore del corpo, offrendo un allenamento più completo.
- Benefici cardiovascolari: Questa attività aumenta la frequenza cardiaca in modo moderato, contribuendo a migliorare la salute cardiovascolare.
- Esperienza sensoriale ed emotiva: Il contatto con la natura e l’ambiente esterno durante il Nordic Walking offre benefici a livello sensoriale ed emotivo, migliorando l’umore e riducendo lo stress.
Ma il Nordic Walking non è l’unica attività sportiva consigliata. In generale, l’attività fisica è tra le principali alleate della salute.
Altri aspetti della prevenzione includono una dieta equilibrata, ricca di antiossidanti e nutrienti neuro protettivi, il mantenimento di un peso corporeo sano, e la gestione dello stress attraverso tecniche di rilassamento e mindfulness.
È importante consultare sempre un professionista della salute prima di intraprendere qualsiasi nuova attività fisica, specialmente in presenza di condizioni mediche preesistenti come il Parkinson.
COSA SERVE PER ALLENARE IL CERVELLO?
- La musica favorisce lo sviluppo del cervello dei bambini
- Come mantenere in forma il cervello
- Danni dello smog: dal cuore al cervello
- «Mangiare con il cervello e non solo con la bocca» (Plutarco)
Vuoi conoscere una selezione delle nostre notizie?
- Iscriviti alla nostra Newsletter cliccando qui;
- Siamo anche su Google News, attiva la stella per inserirci tra le fonti preferite;
- Seguici su Facebook, Instagram e Pinterest.