Cinque Paesi di prima linea dell’Unione europea hanno deciso che il terremoto in Emilia Romagna del 29 maggio scorso non c’è mai stato, ed è solo un’invenzione dei soliti, furbi e scaltri italiani che vogliono arraffare qualche tesoretto di fondi pubblici. Germania, Olanda, Finlandia, Svezia e Gran Bretagna, infatti, si rifiutano di pagare le loro quote per raggiungere i 670 milioni stanziati dalla Ue per le zone dell’Emilia-Romagna attraverso il Fondo di solidarietà europea.
La decisione dei magnifici cinque indica tre cose. Innanzitutto se l’Europa non è in grado di riconoscere gli aiuti a una parte del suo territorio colpita da un gravissimo terremoto, allora vuole dire che davvero non esiste. In secondo luogo, lo stop ai fondi è il segnale di un clima molto pesante all’interno dell’Unione e di una frattura che, anche in questo caso, vede separati e spaccati i Paesi del Nord da quelli mediterranei, a partire proprio dall’Italia. Con questo clima è difficile immaginare il successo delle politiche fiscali comuni in grado di tranquillizzare i mercati e contenere la speculazione, e tantomeno è complicato pensare a concreti passi avanti del processo di integrazione. In terzo luogo, i grandi mandarini di Bruxelles, quelli che dovrebbero tenere alta la testa dell’Unione di fronte alle prepotenze e alle ingerenze dei singoli stati, non contano nulla. Parlano come se fossero degli osservatori e i loro impegni sono scritti sulla sabbia. Johannes Hahn, commissario per la politica regionale europea, aveva detto: «Interverremo in modo concreto per aiutare famiglie e imprese dell’Emilia-Romagna, una delle zone a più alta produttività industriale di tutta l’Europa». Il suo impegno, dunque, vale zero, di fronte al potere di cinque governi che minacciano di bloccare la distribuzione dei fondi e di colpire al cuore l’Italia.
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