Lavorare meno conviene: gli esperimenti in Europa

Il nuovo modello sta dando buoni risultati in Portogallo e in Gran Bretagna. Solo in Italia l'orario di lavoro non si riduce da mezzo secolo

PERCHÉ LAVORARE MENO

SETTIMANA DI LAVORO DI QUATTRO GIORNI

L’ideologo della settimana di lavoro super corta, di quattro giorni, all’insegna del “lavorare meno, lavorare tutti”, è Pedro Gomes, economista al Birkbeck College all’università di Londra. Nel suo ultimo libro, Finalmente è giovedì! 8 ragioni per scegliere la settimana corta (edizioni Laterza), Gomes raccoglie i pareri di economisti di destra e di sinistra che spiegano i vantaggi per tutti (lavoratori, aziende e sistemi-Paese) della settimana super corta. Gomes è diventato in principale consulente del governo portoghese per le politiche sul lavoro, e il Portogallo sta sperimentando la settimana lavorativa di soli quattro giorni. Con risultati più che incoraggianti.

Il fenomeno è trasversale nel mondo globale. Da un alto, a fronte di stipendi piatti, gli orari di lavoro restano alti, e i dipendenti hanno poco spazio per la loro vita privata. Da qui una grande insoddisfazione. Dall’altro lato l’occupazione è in affanno e stenta il ricambio generazionale. Torna così di attualità una soluzione possibile, utile per tutti: Lavorare meno lavorare tutti.

SETTIMANA CORTA IN GRAN BRETAGNA

In Gran Bretagna è stato avviato un esperimento del taglio dei giorni lavorativi settimanali, ridotti soltanto a quattro, con un centinaio di aziende e circa 3.300 lavoratori. I risultati sono stati ottimi. La produttività è aumentata, il 95 per cento delle imprese si sono dichiarate favorevoli a proseguire su questa strada, e si sono aperti nuovi spazi per assunzioni

RIDUZIONE DI LAVORO IN ISLANDA

In Islanda l’esperimento è riuscito Dopo tre anni di settimana di lavoro più corta (solo quattro giorni), con lo stesso stipendio, i dipendenti del comune di Reykjavik e del governo islandese, non hanno diminuito la loro produttività, che in alcuni casi è persino aumentata. Ma sostengono di sentirsi meglio, di essere meno stressati, e di riuscire a trovare tempo per i propri hobby e a rendere più compatibile l’equilibrio tra lavoro e impegni domestici. Insomma: la loro vita è migliorata, uno dei motivi per i quali Non sprecare da sempre sostiene l’idea di Lavorare meno, lavorare tutti. E se l’Islanda è un piccolo paese, ci sono nazioni europee dove la riduzione dell’orario di lavoro sta andando avanti con buoni risultati. Come la Spagna, la Finlandia e la Germania. Per non parlare del Giappone.

PERCHÉ LAVORARE MENO

La Spagna ci prova, per almeno tre anni. La settimana lavorativa è stata tagliata a 4 giorni, per un totale di 32 ore (rispetto alle 40 in Italia), con la stessa retribuzione precedente. Le imprese che aderiscono alla sperimentazione hanno a disposizione  50 milioni di incentivi da dividersi.

LAVORARE DI MENO

Lavorare tutti, lavorare meno. Non è uno slogan anni Settanta da rispolverare, ma una possibilità molto concreta per affrontare con serietà una grande diseguaglianza: la mancanza di un lavoro dignitoso e sicuro, obiettivo numero 8 dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile Onu 2030.

La crisi dell’occupazione è ormai strutturale, amplificata anche dall’effetto Covid-19 e dalle incertezze che accompagnano le onde dei contagi. E non bastano certo misure straordinarie, che tra l’altro dovrebbero avere altri obiettivi, come il reddito di cittadinanza. Certo: bisogna investire in formazione e di qualità. Bisogna formare anche ricollocare i lavoratori espulsi dall’innovazione tecnologica. Ma intanto?

Intanto diversi governi, dall’Europa al Giappone pensano a una soluzione molto più radicale: lavorare meno per lavorare tutti. Così la premier finlandese Sanna Marin intende ridurre l’orario di lavoro, attualmente di 8 ore, per portarlo a 6 ore, promettendo più posti e più produttività. In Germania, sindacati e imprese negoziano rinnovi collettivi con la settimana lavorativa di quattro giorni.

PER APPROFONDIRE: Non sprecare, per vivere meglio. Il nostro Manifesto

LAVORARE TUTTI LAVORARE MENO

Come mai in Giappone, regno del lavoro stakanovista, serio e disciplinato, guadagna punti la soluzione “Lavorare tutti, lavorare meno“? La risposta non arriva da sindacalisti estremisti, ma da alcuni casi molto concreti, creati dai manager e dai proprietari delle imprese, con i quali si dimostra che diminuire l’orario di lavoro può comportare un aumento della produttività e la diminuzione di una serie di costi. Con maggiore soddisfazione sia per le imprese sia per i lavoratori. In sintesi: meno malcontento e meno sprechi; più soddisfazione e più guadagno.

Un caso paradigmatico è quello della Microsoft Giappone. La società ha deciso di accorciare la settimana lavorativa a 4 giorni, annunciando la decisione come un test. Con risultati sorprendenti. La produttività è schizzata del 40 per cento (vantaggio per l’azienda), i consumi di energia sono diminuti del 23 per cento come quelli per la carta (altri benefici per l’azienda), mentre la soddisfazione dei lavoratori è quasi raddoppiata (+ 92 per cento). Con l’effetto di guadagni più alti, maggiori spazi per nuove assunzioni e con benefici positivi, in generale, per tutto l’ambiente di lavoro in azienda.

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LAVORARE MENO E VIVERE MEGLIO

Pregherei chiunque abbia voglia di misurarsi con il tema del “lavorare tutti, lavorare meno“, senza pregiudizi e senza scorciatoie pregiudiziali ed ideologiche, di andare bene a leggere che cosa fa e come la pensa in materia una delle più importanti manager del mondo. Parlo di Alexandra Palt, responsabile mondiale per la Sostenibilità del gruppo L’Oréal, uno dei colossi mondiali del lusso e della cosmetica, con un fatturato annuo superiore ai 26 miliardi di euro. Dunque, non parliamo di una bolscevica, una comunista da rivoluzione d’ottobre, o di una sindacalista intransigente, ma di una donna, austriaca, con un passato di avvocato, di dirigente di Ong specializzate nei diritti umani e nella lotta alla violenza contro le donne, di direttore dell’Alta autorità francese contro le discriminazioni.

RIDUZIONE ORARIO DI LAVORO: IL CASO ORÉAL

La Palt oggi è nel cuore dei posti di comando del capitalismo globale, e da qui non fa altro che ripetere quanto la Sostenibilità sia ormai vitale per il futuro delle aziende, dei lavoratori, dei consumatori e delle nazioni in generale. Sentite bene, tra virgolette, che cosa dice la super manager di L’Oréal a proposito di Sostenibilità e lavoro: “Dovremmo introdurre la settimana di lavoro di 4 giorni a parità di stipendio, saremmo tutti più produttivi e più felici, e le aziende ci guadagnerebbero”. Dunque, siamo al “lavorare tutti, lavorare meno”. Da un pulpito autorevole, e perfino sorprendente, se non conoscete bene la storia della Palt.

vantaggi riduzione orario di lavoro

PERCHÉ RIDURRE L’ORARIO DI LAVORO

L’abbassamento dell’orario di lavoro, che in Italia non si vede dal lontano 1969, sarebbe, nei tempi e nei modi da studiare con rigore e con competenza, una soluzione concreta a diversi problemi. Un modo chiaro e forte per ridurre sprechi di opportunità di lavoro, di crescita economica, di lotta alle insostenibili diseguaglianze del mondo globale. Cito solo, al volo, ma su ciascuno di questi punti esistono approfondimenti scientifici molto completi (ne parla anche Pasquale Tridico, professore della Sapienza e presidente dell’Inps), alcuni obiettivi a portata di mano attraverso la riduzione degli orari di lavoro. Di fatto i lavoratori guadagnerebbero di più. Avrebbero più risorse da spendere e più tempo da dedicare a se stessi, alla loro vita extra lavorativa, alle loro famiglie. A ciò di cui ogni uomo e ogni donna hanno pienamente diritto, accanto al dovere di lavorare. Vi sembra poco? A me sembra un tassello essenziale del traguardo Per vivere meglio scolpito nella testata del nostro sito e bandiera della nostra comunità. In secondo luogo, abbassare l’orario di lavoro, per effetto di quanto detto prima, significa fare un passo avanti verso una seria politica dei redditi, ovvero di redistribuzione  della ricchezza, a favore del lavoro e con qualche (piccola) contropartita da pagare per i profitti e per le rendite. Se il capitalismo globale, accanto a tanti fattori positivi, ha seminato piantagioni di ingiustizie, bisogna pure iniziare a redistribuire ricchezza, a dare qualcosa a chi si è visto sempre e solo togliere tanto.

VANTAGGI RIDUZIONE ORARIO DI LAVORO

Da qui bisogna partire, anche per valutare gli impatti del “lavorare tutti, lavorare meno”, il resto sono solo parole vuote o enunciazioni che mettono insieme ignoranza e malafede. Tra queste ne segnalo una, prima di parlarvi, numeri alla mano, di quanto si lavora in Italia e di smontare la fake news in base alla quale siamo un popolo di scansafatiche. Non pochi grilli parlanti, annidati perfino dalle parti di chi dovrebbe difendere gli interessi dei lavoratori (sul piano politico e sul piano sindacale) ci raccontano la seguente frottola: le imprese non possono ridurre l’orario di lavoro. Ma chi lo ha deciso? E dove è dimostrata questa affermazione così assertiva? A leggere ciò che dice la signora Palt è vero esattamente il contrario, e come lei la pensano migliaia di imprenditori italiani. Certo: c’è bisogno di gradualità, di approfondire bene il percorso per raggiungere l’obiettivo, i settori produttivi e le modalità per “lavorare tutti, lavorare meno”. Ma intanto sarebbe bene iniziare, ed essere onesti nell’analisi del problema. Altrettanto poco credibile è un’altra obiezione: più che “lavorare tutti lavorare meno”, per rilanciare l’economia e l’occupazione servono nuovi investimenti. Ma che bella scoperta! E quale pensiero geniale c’è in questo slogan…
Mi sfugge solo un particolare: quale sia la relazione tra la scontata necessità di aumentare gli investimenti e l’altrettanto scontata esigenza di fare lavorare meno e meglio tutte le persone che lo desiderano. Semmai, cito ancora la Palt, poiché a guadagnarci dal “lavorare tutti, lavorare meno” sarebbero anche le imprese, mi sembra scontato che in questo modo ci sarebbero più risorse e più incentivi a investire.

LAVORARE MENO PER LAVORARE TUTTI

Smontiamo un vecchio e falso luogo comune: non è vero che gli italiani lavorano poco, e meno degli altri cittadini europei. Nel libro Il lavoro nel XXI secolo (edizioni Einaudi), il sociologo Domenico De Masi  osserva che in Italia si lavora il 20 per cento in più rispetto alla Germania: 1.725 ore pro capite contro le 1.371 dei tedeschi. Semmai sono più bassi, almeno del 20 per cento, i valori di produttività e salari. Tanto che il pil pro-capite in Italia è di 30mila euro, in Germania di 41mila euro. Mentre la disoccupazione dei tedeschi è al 3,8 per cento, rispetto all’11 per cento della nostra. Quindi il vero obiettivo, anche rispetto all’urto dei cambiamenti tecnologici, è come aumentare i posti e ridurre gli orari. Come già avviene in diversi paesi del mondo capitalista.

Le declinazioni sono diverse, ma l’obiettivo è lo stesso: lavorate tutti, lavorare meno. E lavorare meglio, lasciando anche il tempo necessario a se stessi e alla propria famiglia. Qualcosa finalmente si sta muovendo nella palude del mondo del lavoro. Una scossa forte, per esempio, è arrivata dalla Germania, dove a significativi aumenti salariali (nell’ordine del 4,3 per cento) è stata abbinata la possibilità per i lavoratori di scegliere la settimana super corta. Solo 28 ore in fabbrica, e il resto a casa, In Nuova Zelanda è stato firmato un accordo tra imprenditori e sindacati in base al quale gli stipendi aumentano, ma le giornate lavorative passano da 5 a 4.  E anche in Svezia, in diversi uffici pubblici, si sta sperimentando la giornata lavorativa di sei ore.

Lavorare meno, lavorare tutti non è stato uno slogan fortunato: nella nostra (fragile) memoria collettiva rievoca la fumosa, e poi violenta, demagogia degli anni Settanta. In realtà non è così. Questa affermazione, mai così attuale in termini di potenziale programma, risale ai primi decenni della rivoluzione industriale, quando nelle fabbriche si lavorava almeno 16 ore al giorno, per 6 giorni alla settimana. Altri tempi, altre fatiche, di fronte alle quali furono gli operai e le loro famiglie, giustamente, a ribellarsi. E sapete chi cambiò il paradigma? Un super capitalista, un padrone a tutto tondo, dal nome Henry Ford, il re dell’auto, che abbassò il numero delle ore e accorciò la settimana di lavoro a 5 giorni. Segno di come aveva capito quanto gli potesse convenire questa soluzione, e non solo per la pax sociale nelle sue fabbriche.

LEGGI ANCHE: Non sprecare, anche il lavoro e innanzitutto la vita. Il nostro libro-manifesto

LAVORARE MENO PIERGIOVANNI ALLEVA

In tempi di Grande Crisi ancora strisciante e di una disoccupazione stellare e insostenibile (con uno spreco che da noi ormai riguarda intere generazioni di ragazzi), lavorare tutti, lavorare meno può diventare una soluzione, o almeno una rotta.

Non a caso in molti paesi del Nord Europa si susseguono esperimenti in diversi ambienti di lavoro, dagli uffici alle fabbriche, per valutare gli effetti della riduzione dell’orario di lavoro. Tutti coincidenti: lavorare meno migliora la salute e l’efficienza, la produttività, dei dipendenti; crea un clima più positivo all’interno e all’esterno del luogo di lavoro; spinge tutti a fare bene o comunque meglio che in passato. In una clinica svedese di Svartedalens, dove si è applicato il paradigma del lavorare meno, lavorare tutti, a conti fatti si è scoperto che i risparmi sono stati «molto significativi» anche per i minori giorni di malattia, o di permesso, presi delle infermiere. D’altra parte anche in Italia, e precisamente in Emilia Romagna, si discute di una proposta del giurista Piergiovanni Alleva per approvare una legge regionale che, attraverso i contratti di “solidarietà espansiva”, applichi l’antico slogan e lo converta in un provvedimento a favore dell’occupazione. Riducendo la settimana lavorativa da cinque a quattro giorni, ci sarebbe, secondo Alleva, un nuovo posto per ogni quattro dipendenti. Non è poco, inoltre il contributo regionale per agevolare il meccanismo, non sarebbe così pesante e non si ridurrebbe al solito spreco o alla solita clientela a pioggia, ma andrebbe a centrare un obiettivo di benessere per tutti: la piena occupazione. In ogni modo, più gli esperimenti del lavorar meno, lavorare tutti vanno avanti, più si conferma un risultato di fondo: i benefici di questo cambiamento, nel medio-lungo termine, sono decisamente superiori ai costi nel breve termine.

VANTAGGI LAVORARE MENO

Immagino le obiezioni. In Italia già si lavora poco (ma questo, tra l’altro, non è vero per tutti…), figuriamoci poi se ci mettiamo anche ad abbassare l’orario di lavoro. Si darebbe spazio a nuove forme di assistenzialismo. I costi per queste politiche sono per definizione senza copertura. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Ho forti dubbi, e penso che una politica per l’occupazione ispirata all’idea di Lavorare meno, lavorare tutti possa funzionare e sarebbe un segno di reale discontinuità con un recente passato che ha troppo sacrificato e schiacciato il lavoro, facendolo mancare oppure pagandolo malissimo. Laddove senza lavoro, e senza soldi nelle tasche dei lavoratori, la ripresa economica, il ritorno alla crescita, e tutte queste belle storielle che ci ripetiamo ogni secondo, resteranno solo favole. Favole, tra l’altro, che fanno sorridere solo i ricchi e piangere i poveri.

LAVORARE MENO CONVIENE

In diversi paesi, Italia compresa, si sta verificando un fenomeno molto significativo. Le persone rinunciano al contratto a tempo indeterminato, quello che in gergo si chiama posto fisso, ed entrano a fare parte del “popolo della partita Iva”, con contratti part-time. Nel Regno Unito, secondo i dati forniti dall’Ufficio nazionale di Statistica, più di otto milioni di persone, circa un quarto dell’intera forza lavoro del paese, hanno un contratto a tempo determinato. Dove sta la convenienza? Si lavora meno e con maggiore flessibilità. Anche da casa, riducendo i costi degli spostamenti da e verso il luogo di lavoro. Si possono sommare più lavori, e quindi più entrate. Le tasse del lavoro part time sono più basse rispetto a quelle che gravano sul lavoro a tempo pieno.

(Nell’immagine di copertina: Alexandra Palt. Fonte: Twitter)

IL LAVORO CHE NON C’È A DANNO DI GIOVANI E DONNE:

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