Perché siamo diventati più soli

Un’epidemia che non è l’onda lunga dell’isolamento per il coronavirus. Ma viene da lontano, da quando ci siamo rassegnati alla Grande Bugia della tecnologia. E la risposta non può essere un ministero della Solitudine, come pure esiste in diversi paesi

Perché siamo diventati più soli

Dove nasce l’epidemia della solitudine? Come abbiamo fatto a scivolare sempre di più, passo dopo passo, in quella zona grigia nella quale le relazioni umane appassiscono, l’io ipertrofico divora la leggerezza del noi, i rapporti tra persone si riducono a un continuo do ut des? Lo smottamento è talmente marcato e confermato da una serie di indicatori tutti in crescita, dal boom del consumo di psicofarmaci al crollo del tempo che trascorriamo con gli altri, che diventa difficile individuare una genesi del virus. Molti studi puntano il dito sulla lunga stagione del Covid-19, sulle ferite che ha aperto e che non si sono mai rimarginate, su nuove abitudini che abbiamo preso guidati dall’istinto della sopravvivenza: dallo smartworking, il lavoro da casa, senza il contatto fisico con i colleghi, alla rinuncia della ricerca di nuove amicizie, come se questo capitolo dovesse aprirsi e chiudersi con i rapporti degli anni della scuola.

Sicuramente la pandemia ha peggiorato le cose, ma la deriva della solitudine come malattia di massa, cronicizzata più del diabete, dell’obesità e delle patologie cardiovascolari, parte da molto più lontano, e ci porta dritti alla Grande Bugia della tecnologia. Il progresso delle macchine, mai così veloce e incontrollato, fuori dalla portata del nostro potere di controllo e di discernimento, ci ha fatto credere che qualsiasi oggetto del desiderio chiamato modernità potesse avvicinarci, aprirci agli altri, favorendo qualsiasi forma di rapporti. In realtà è avvenuto il contrario. La pervasiva tecnologia si è impossessata delle nostre vite, ci ha convinto di essere atomi in un universo fatto di particelle, una distante dall’altro, ha ridotto a un reperto archeologico l’idea stessa di comunità. Il nostro orizzonte è diventato solo il presente, il nostro sguardo si è ristretto, la voglia di stare con gli altri non è più la regola, ma l’eccezione.

L’epidemia della solitudine, collegata al dilagare dei social, in Italia è misurata persino dall’Istat. Tra il 2012 e il 2018, quando i social sono diventati l’alfa e l’omega delle nostre esistenze, e quindi prima dell’epidemia del coronavirus, la solitudine è aumentata del 73 per cento in Italia (rispetto al raddoppio registrato in America). Tra il 2019 e il 2021, anche in questo caso prima dell’epidemia, i ragazzi tra i 14 e i 18 anni hanno visto diminuire il tempo trascorso con gli amici del 15 per cento e il 17,2 per cento ha dichiarato di non avere alcuna relazione amicale stretta e solo il 6,5 per cento si considera soddisfatto del rapporto con gli amici. Intanto il tempo trascorso sui social, nella stessa fascia di età tra i 14 e i 18 anni, è schizzato a 6-8 ore al giorno. Un’eternità, rispetto al resto della vita.

L’America, paradiso dell’high tech abbinato alla finanza, è anche il regno della solitudine, che inizia in età giovanile e ti accompagna per tutta la vita. Oltre 500 adolescenti sono stati esaminati da un gruppo di ricercatori di Harvard, dopo aver risposto per tre volte al giorno sulle loro interazioni sociali, sui rapporti reali e virtuali del loro stile di vita. Il risultato finale dell’indagine è stato molto deprimente: nei 60 minuti precedenti alla compilazione del questionario, il 52 per cento dei giovanissimi ha dichiarato di non aver parlato con nessuno, compreso attraverso lo smartphone, e solo il 9 per cento ha detto di avere avuto un contatto con un interlocutore reale e non virtuale.

Negli Stati Uniti, come nel Regno Unito e in Giappone, si moltiplicano le iniziative, anche da parte dei governi, per andare a fondo sui motivi dell’epidemia della solitudine, provando a mettere in campo qualche contromisura efficace. Talvolta il rimedio è peggiore del male, e rasenta la comicità. Già nel 2021, il presidente americano Joe Biden ha creato un “Ufficio per la solitudine e il Benessere”. Avremo presto gli sportelli, come quelli per spedire le raccomandate, per fare nuove amicizie o per andare alla ricerca di compagnia? Anche in Giappone esiste un ministero della Solitudine, e non è uno scherzo. Intanto, nel settore dei servizi dilagano le società giapponesi che propongono l’affitto di amici, come se fossero automobili per un breve viaggio in compagnia. In Gran Bretagna il ministero per la Solitudine (Minister for Loneliness) risale al 2018 (altro che effetto Covid-19!) e intanto ai postini è stato dato l’incarico di vigilare sugli anziani che vivono soli lungo i loro percorsi. Per invitarli a cena?

Tanti, apparenti sforzi pubblici, contro l’epidemia della solitudine, si spiegano con una questione molto prosaica: la paura che questo contagio possa continuare a mettere sotto pressione i bilanci della spesa sanitaria nazionale. Esiste ormai una letteratura sui danni per salute provocati dalla solitudine: diabete di tipo 2, obesità, depressione, aumento delle malattie cardiovascolari, riduzione delle funzioni cognitive, rischio demenza e ictus. Un elenco di guai che, in un modo o nell’altro, ricadono poi nell’ambito della spesa sanitaria, rendendola insostenibile.

La solitudine accorcia la vita, e questo dovremmo averlo capito tutti, in qualsiasi latitudine del mondo ci troviamo. E servirà molta immaginazione, combinata con una buona dose di ragionevolezza, per iniziare a pensare a ciò che serve davvero: uno sforzo individuale e collettivo per ritrovarci insieme, per non soffocare nel narcisismo che ci priva dell’ossigeno delle più autentiche relazioni umane. Per restituire alla persona il suo primato rispetto alla tecnica, in quell’eterno braccio di ferro tra l’uomo (con le sue fragilità) e la macchina (con la sua progressiva potenza) nel quale abbiamo sicuramente perso l’ennesima battaglia. Ma possiamo ancora vincere la guerra.

Leggi anche:

Vuoi conoscere una selezione delle nostre notizie?
Torna in alto