Ana e Pablo sono dei canners, da can, lattina. Vivono a Newy York e la loro attività è di andare in giro per la metropoli, recuperare e riciclare contenitori per le bibite. Lattine, bottiglie, confezioni in cartone pressato. Per ciascuno di questi oggetti recuperato dalla catena di smaltimento, Ana e Pablo ricevono 5 centesimi di dollari. Sembra poco, ma a forza di eliminare rifiuti, e non sprecarli, la coppia di canners porta a casa circa 40mila dollari l’anno. Un discreto stipendio. E d’altra parte anche per questo il lavoro del riciclo delle lattine a Ney York ha catturato più di 5mila persone. Uomini e donne che rovistano tra i rifiuti, ma non possono essere classificati come poveri.
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PERSONE CHE VIVONO RACCOGLIENDO I RIFIUTI
Semplicemente persone che vivono raccogliendo rifiuti, e ne hanno fatto un mestiere. Disoccupati, madri single, anziani con piccola pensione, precari falcidiati dalla crisi economica, senza fissa dimora: alcune delle tante vite americane che non si raccontano, che finiscono ad essere solo numeri per le statistiche.
Eppure, il fenomeno canners conta un esercito che va dai 4mila agli 8mila raccoglitori di lattine, i tanti esclusi del tessuto produttivo e sociale di una città carissima come New York, che non perdona.
Questo tipo di lavoro autorganizzato e autogestito è, in realtà. un effetto collaterale di una legge dello stato di New York, la cosiddetta Bottle Bill, del 1982 che remunerava con dei centesimi di dollaro le bottiglie conferite nei punti vendita, incentivando i cittadini a fare una corretta raccolta differenziata. Grazie alla legge, veniva regolamentato il vuoto a rendere, utilissimo per dimezzare lo spreco di contenitori in vetro e plastica.
Ma non si pensi all’elemosina: l’attività dei canners è utilissima anche a livello ambientale, contribuendo alla pulizia delle strade della metropoli soprattutto quelle delle zone più decentrate, in cui spesso la raccolta differenziata è difficoltosa o le macchinette per il conferimento del vetro e del metallo sono fuori uso. Questo è il principale motivo per cui la città non ha alcuna intenzione di fermarli: oltre a ripulire la Grande Mela da circa il 70% dei rifiuti solidi, risulta essere anche una solida fonte di reddito per le casse della città, poiché l’80 per cento del valore delle bottiglie recuperate viene incassato dallo Stato, lasciando il 20 per cento alle ditte produttrici di bevande.
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CANNERS NEW YORK
Intorno al fenomeno canners è nato un vero e proprio indotto della solidarietà. Ana Martinez de Luco, suora vicina ai poveri e ai diseredati newyorkesi che ha fatto della strada il suo luogo di battaglia, ha addirittura avviato una cooperativa solidale con l’obiettivo di fungere da deposito e centro di smistamento dei rifiuti raccolti dai tanti raccoglitori di Brooklyn, dove è sita la sua Sure we Can. Non solo rifiuti, ma anche un centro diurno per senzatetto e persone in condizione di difficoltà, dove possono ricevere del cibo avanzato dalle mense, dormire, festeggiare i compleanni, socializzare per sentire meno la solitudine della vita in strada. Eppure, Sure We Can è in pericolo: ubicata su un terreno privato, è a rischio fratto per via dell’aumento dei prezzi degli immobili. Il proprietario del lotto lo ha messo in vendita minacciando l’esistenza della cooperativa, già minacciata dalla società di smaltimento rifiuti che guadagna anche vendendo l’alluminio recuperato.
Suor Ana non cede, proiettando documentari sulle cooperative argentine durante apposite serate di cineforum: agli avventori e alle avventrici del centro spiega che occorre organizzarsi in modo solido per far sì che l’esperienza di Sure We Can resista. Nella platea, il mondo sotterraneo della New York degli esclusi, che vivono spesso a un palmo di strada dagli straricchi. C’è Morena, 74enne della Repubblica Dominicana, che lì ha la sua seconda casa, e ci sono Josefa e Pedro, 49 e 48 anni, nati in Messico e giunti negli USA negli anni 80: hanno sei figli, e sbarcano il lunario vendendo bottiglie e lattine. Oppure c’è Pierre, 64 anni, ex pugile e musicista, che dopo aver perso il lavoro ha sofferto di depressione, uscendone a fatica. Canner per bisogno, ma ormai anche per scelta.
Nei container di Sure We Can ci sono i volti della durezza estrema di una città costosa e dura, ma tra bottiglie e lattine ci sono storie di solidarietà, amicizia e, perché no, un nuovo modo di intendere la vita e il lavoro. E non è detto che sia sbagliato.
(Immagine in evidenza e a corredo del testo tratta dal The Guardian //photocredits The Guardian)
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