#KuToo: dal Giappone una petizione contro l’obbligo di indossare i tacchi in ufficio

In pochi giorni la petizione contro l'imposizione dei tacchi a spillo, lanciata da un'attrice e scrittrice 32enne, ha raggiunto ventimila firme. Chiedono al Ministero del Lavoro di intervenire contro ciò che considerano una molestia e una discriminazione.

petizione contro i tacchi alti in ufficio

PETIZIONE CONTRO I TACCHI ALTI IN UFFICIO

Tanto siamo attente alle rughe e all’invecchiamento del viso, quanto ci dimentichiamo troppo spesso della degenerazione di ginocchia, articolazioni e cartilagini di gambe e piedi a causa dei tacchi a spillo. Alti, femminili, sicuramente bellissimi, ma molto dannosi. E, a volte, una vera e propria imposizione nelle divise, che rischia di essere considerato un peso gravoso soprattutto per la salute e il benessere.

Uno studio della Stanford University, pubblicato sul Journal of Orthopaedic Research, confermerebbe che i tacchi alti, usati troppo spesso, possono favorire lo sviluppo di osteoartrosi del ginocchio. In altre parole, l’articolazione subisce un danno da usura accentuato e costante che, con il tempo, promuove lo sviluppo di artrosi e, quindi, infiammazione, gonfiore e dolore.

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OBBLIGO DEI TACCHI ALTI IN UFFICIO

Quindi, perché alle lavoratrici spesso i tacchi alti vengono imposti e sono costrette a indossarli per più ore al giorno tutti i giorni? La stessa domanda che si è fatta l’attrice giapponese Yumi Ishikawa, che ha dato voce a una moltitudine di donne che condivide lo stesso disagio denunciando l’impossibilità di sfuggire al tacco alto quando si cerca un lavoro, o, ancora peggio, una volta assunte.

Tutto è partito da un tweet dell’attrice in cui puntava il faro dell’attenzione sull’obbligo di indossare le scarpe alte per ottenere un lavoro in un albergo.

petizione contro i tacchi alti in ufficio
Immagine tratta dal tweet della Ishikawa

MOVIMENTO KUTOO

Nasce così il movimento #kutoo, un nome che deriva dalle prime lettere di kutsu, scarpe in giapponese, ma anche kutsuu, dolore, insieme al “too” del più celebre movimento anti-molestie “MeToo”. Una strana assonanza, quella tra la parola scarpe e la parola dolore, nella lingua del Sol Levante.
Anche l’utilizzo del richiamo al movimento contro le molestie sessuali nel mondo del cinema ha un senso preciso: l’imposizione dell’utilizzo dei tacchi alti è una vera e propria discriminazione, vissuta come una molestia e un obbligo alle donne in quanto donne.

Evidentemente il problema è reale, se in pochi giorni il movimento #kutoo ha raggiunto il supporto di ventimila persone, e nei suoi intenti c’è quello di chiedere al governo giapponese, attraverso una petizione molto partecipata, una legge che vieti alle aziende di imporre alle lavoratrici l’utilizzo di scarpe col tacco alto negli uffici.

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PROTESTA DELLE DONNE GIAPPONESI CONTRO I TACCHI ALTI AL LAVORO

Per la scrittrice freelance e attrice 32enne Ishikawa, non è ancora finita, perché in ballo c’è una ben più annosa questione delle discriminazioni di genere, contro le quali la strada è ancora lunga e impervia. Tuttavia, dal Giappone sperano che il ministero del Lavoro e quello della Salute diano risposte concrete alla situazione delle lavoratrici intervenendo sui datori di lavoro, ma anche su una più generale consapevolezza delle molestie e delle disparità nei luoghi di lavoro, posti in cui trascorriamo molto tempo e che quindi dovrebbero essere il più possibile accoglienti.

Per le attiviste giapponesi, un simile obbligo ad indossare le scarpe con il tacco è la versione moderna della terribile fasciatura ai piedi che era in uso nella Cina imperiale. Provocazione, forse, ma che merita una riflessione.

petizione contro i tacchi alti in ufficio
L’immagine della petizione #kutoo

KUTOO GIAPPONE

Non solo il movimento #kutoo ha sollevato la questione, che era già arrivata agli onori della cronaca nel 2015, sbarcando addirittura sul red carpet del festival del cinema di Cannes con un atto dimostrativo di alcune attrici che avevano deciso di indossare scarpe basse o ballerine mentre sfilavano, venendo poi allontanate per ‘abbigliamento non conforme’ al rigidissimo protocollo del festival. Ancora, nella provincia canadese della Columbia Britannica l’esponente del partito dei Verdi Andrew Weaver era riuscito a far passare, nel 2017, un emendamento per vietare ai datori di lavoro di imporre calzature in base al genere.

(Immagine in evidenza tratta da d.repubblica.it)

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