Lotta alla povertà: per salvare le banche 20 miliardi di euro. E per i poveri?

Mentre i poveri assoluti sono diventati 4,6 milioni, mentre un minore su dieci è in povertà, sono passati tre anni senza quasi nessun intervento concreto. Adesso siamo al silenzio, al contrario per evitare il fallimento di banche amministrate da corrotti c’è una pioggia di denaro. Dei contribuenti.

piano anti povertà

PIANO ANTI POVERTÀ –

C’è qualcosa che non quadra nei conti e nelle promesse del governo, con i relativi impegni per il 2017: un silenzio assordante, rotto solo da qualche frase generica, sulla lotta alla povertà. Stiamo parlando di povertà assoluta, autentica, e non finta. Certificata dall’Istat, e se il governo avesse qualche dubbio sui dati forniti dall’Istituto di statistica dovrebbe licenziare i suoi vertici. Ma il governo sa che questi dati riflettono la realtà di un Paese sfibrato da quasi dieci anni di Grande Crisi ed è consapevole che quasi 5 milioni di poveri assoluti gridano vendetta per una nazione civile.

Si dice, e si scrive: ma dove sono i soldi per aiutare i poveri? E si aggiunge: Attenzione con le parole, ovvero con il Reddito di cittadinanza o Reddito minimo o ancora Reddito di inclusione. Sul primo punto, senza fare demagogia, vorrei chiedere all’onesto Paolo Gentiloni soltanto una cosa: ma se per salvare le banche i soldi si sono trovati e si troveranno, per quale motivo non è possibile fare lo stesso, anche solo in parte, per i poveri?

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PIANO DEL GOVERNO CONTRO LA POVERTÀ –

I numeri parlano. Il salvataggio delle banche italiane, molto spesso gestite da personaggi corrotti e spregiudicati (che non pagheranno pegno grazie alle prescrizioni e alla nostra Ingiustizia Civile), costerà ai contribuenti italiani qualcosa come 20 miliardi di euro (oltre 6 miliardi solo per il Monte dei Paschi di Siena, epicentro di scorribande di politici incompetenti e amministratori corrotti) mentre per dare una mano, molto parzialmente, a quasi 5 milioni di indigenti si fa fatica a mettere sul tavolo 1 miliardo di euro. L’ingiustizia è palese, e spiega come ci sia un distacco sempre più largo tra la politica e la società italiana. Quanto all’avvertimento di non giocare con le parole, diciamolo una volta per tutte: misure chiare e forti, come un Reddito minimo, per i poveri assoluti e certificati, sono possibili, senza fare confusione e magari tagliando sprechi della spesa pubblica a favore di categorie privilegiate e protette, come dimostrano regioni, come l’Emilia Romagna, che hanno introdotto queste forme di sostegno.  Sostegno per rialzarsi, per uscire dalla povertà, non elemosina o assistenzialismo fine a sè stesso.

Non c’è bisogno di essere persone di particolare sensibilità per rendersi conto che un Paese con 1 milione e 582mila famiglie in condizione di povertà, uno status pietoso che riguarda un minore su dieci, e con 4,6 milioni di indigenti, ovvero poveri assoluti (ultimi dati Istat) vive sull’orlo di un precipizio. È un’Italia sempre più ingiusta, sempre più a rischio nella sua tenuta sociale, e sempre più povera. Punto.

IL PIANO ANTI POVERTÀ DEL GOVERNO: IN COSA CONSISTE –

Ovviamente, sarei ingeneroso e fazioso se volessi addebitare il peso di questo dramma tutto sulle spalle dell’ultimo governo guidato da Matteo Renzi che ha spinto la Camera ad approvare il nuovo disegno di legge contro la povertà. In sintesi: finalmente si dovrebbero sbloccare i fondi (600 milioni per il 2016 che dovrebbero diventare 1,5 miliardi di euro nel 2017) per le prime misure concrete di sostegno. Stiamo parlando dei famosi 320 euro al mese per un numero di famiglie, tra le 180mila e le 320mila, povere e con figli minori.

Chiariti i termini dell’intervento del governo, al quale va comunque riconosciuto il merito di avere messo soldi vero sul tavolo contro la povertà, e in attesa di conoscere il merito dei decreti attuativi, ci sono alcune cose che però vanno dette. Sono passati tre anni da quando il ministro Giuliano Poletti è subentrato a Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat e ministro del Lavoro e delle Politiche sociale del governo di Enrico Letta, e in questo lunghissimo periodo, un’eternità per i tempi della politica, non si è visto nulla. Solo annunci, parole, e zero fatti. Tanti che adesso si è deciso, altro annuncio, di spendere finalmente, da settembre, i soldi stanziati per il 2016.

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LOTTA ALLA POVERTÀ IN ITALIA –

Sono ritardi inconcepibili che un Paese che voglia fare davvero sul serio nella lotta alla vecchia e nuova povertà, specie con un’onda lunga della Grande Crisi ancora montante. La seconda obiezione è che per trovare i soldi che servono per contrastare la vera povertà, bisogna combattere contro gli sprechi ingoiati dai finti poveri. Nella lotta alla povertà bisogna evitare sprechi e duplicazioni, molto frequenti specie tra livello centrale dello Stato, regioni e amministrazioni locali. Ogni euro stanziato in questo settore va speso bene, in modo limpido ed efficace. E solo con una forte politica di riduzione degli sprechi si troveranno le risorse, e non sono poche, che servono.

Infine Renzi ha fatto un errore all’origine, in questo settore fondamentale per misurare i risultati del suo governo. Si è privato della competenza di un fuoriclasse come Giovannini, ossia un economista esperto, autorevole, di profilo internazionale, di grande statura morale abbinata a una forte passione. Il motivo di questa rinuncia francamente resta sconosciuto a noi mortali, osservatori distanti dai giochi di Palazzo, e il capo del governo farebbe bene a pensarci. Perché un Paese povero, in questo caso di classe dirigente, privandosi di gente come Giovannini fa solo un atto di autolesionismo.

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