Un filosofo modernissimo, uno scrittore che ama la vita e riesce a raccontarla con passione, un uomo capace di testimoniare con le sue scelte quanto ciascuno di noi può fare, ogni giorno, per la sostenibilità e per utilizzare al meglio, senza sprecarle, le risorse naturali. È veramente difficile classificare con un’etichetta l’ottantunenne Pierre Rabhi, una delle personalità più interessanti dell’universo ecologico mondiale. Lui si definisce “innanzitutto un contadino”, ma la sua voce, e i suoi gesti quotidiani, hanno già lasciato un segno indelebile nell’ecologismo contemporaneo.
PIERRE RABHI
La storia di Pierre inizia in Algeria dove nasce in una famiglia musulmana a Kénadsa, vicino a Béchar, in un’oasi nel sud del Paese nel 1938. Dopo la morte della madre, all’età di cinque anni, viene affidato dal padre, fabbro, musicista e poeta, a una coppia di francesi per assicurargli una crescita agiata in Francia. Grazie a questa scelta riceve un’educazione europea, mantenendo tuttavia la cultura d’origine. Crescendo, studia a Parigi e si avvicina progressivamente al mondo dell’agricoltura. All’inizio degli anni Sessanta, infatti, per tre anni lavora come operaio agricolo, prima di diventare lui stesso un piccolo agricoltore. Nei suoi terreni mette in pratica con successo le teorie studiate negli anni della formazione. In questo modo diventa uno dei pionieri dell’agricoltura ecologica in Francia, specializzandosi nella lotta contro la desertificazione. Teorie che comincia a mettere per iscritto, diventando scrittore e saggista. Ancora oggi, dopo aver ricoperto diversi incarichi istituzionali, anche per conto dell’Onu, tiene conferenze e workshop su temi come la decrescita, la delocalizzazione e la semplificazione volontaria. Idee talmente rivoluzionarie da entrate nei programmi scolastici della Francia, nelle raccomandazioni delle Nazioni Unite, nei documenti ufficiali di organismi sovranazionali di protezione dell’ambiente. La sua autorevolezza è riconosciuta ovunque, ma la cosa più forte è l’autentica semplicità del suo pensiero.
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PIERRE RABHI E L’ARTE DELL’ORTO
Tra i suoi cavalli di battaglia c’è la convinzione che coltivare un orto sia un gesto rivoluzionario. Un argomento che ha affrontato in una bella intervista a che ha concesso a Carlo Petrini. Eccone qui uno uno stralcio.
COME OCCUPARSI DELL’ORTO
L’ultimo degli ultimi che sarà primo, è un concetto che appartiene alla visione cristiana. È questa la tua formazione?
«Sono dell’idea che l’amore sia la forza più grande in grado di cambiare il mondo, ma non ho appartenenze formali. Ora credo in quello che faccio: il contadino. Posso spiegarvi come fare affinché la terra riesca a creare energia per la vita, ma non il perché ci riesce. Coltivo una parte molto razionale ma c’è momento in cui la razionalità non può più darci delle risposte. Sono molto affascinato dal mistero della vita, ma se mi chiedono, l’unica cosa a cui non potrei mai rinunciare è il mio orto».
La razionalità ha un limite, l’orto è un universo illimitato.
«L’urbanizzazione ha creato un universo limitato e tutti si sono dovuti adattare, ma in quell’universo non c’è più il fondamento della vita. Abbiamo creato un mondo parallelo senza natura e ora la gente non la comprende più».
Se giochiamo una partita contro un gigante non abbiamo nessuna possibilità, allora dobbiamo cambiare il campo di gioco e le regole del gioco.
«È quello che si chiama l’uscita dal paradigma. Nel 2002 mi hanno chiesto di presentarmi alle presidenziali. Mi sono detto che sarebbe stato interessante donare uno spazio di espressione della gente e allora ho dato vita a un luogo per raggrupparsi e riflettere, per ricercare la creatività della società civile. Da lì è uscito un programma che apparentemente non aveva nulla a che fare con la politica, tutto basato sull’amore, sulle utopie, sull’agricoltura ecologica, sul ruolo della donna e sull’educazione. Tenemmo 40 conferenze in giro per la Francia ed erano sempre piene: significa che si può avere fiducia nel futuro».
Che pensi della situazione in Africa?
«Disastrosa, gli asiatici depredano le risorse, i capi di Stato sono corrotti. Guarda l’Algeria, non produce ma esporta, si è addormentata sullo sfruttamento petrolifero. Non si produce cibo, i settori vitali sono morti. Se l’Algeria smette di esportare petrolio muore. Ci sono caste che si prendono tutta questa ricchezza, come in altri Paesi, e lasciano il popolo nella povertà».
Noi abbiamo scelto di fare 10.000 orti in Africa, e credo che sia il momento per costruire qualcosa nel continente. Una dimensione umana e di organizzazione, per ricreare una classe dirigente che abbia a cuore la comunità e non il commercio, la salvaguardia della biodiversità, la lotta alla fame e alla malnutrizione.
«È una cosa straordinaria. Quando mi hanno domandato di intervenire in Burkina Faso, io non conoscevo quella parte dell’Africa. Ma ho analizzato la situazione. L’agricoltura chimica non si poteva fare, le persone dicevano “io sono talmente povero che non posso acquistare fertilizzanti e diserbanti”. È un sistema insostenibile per loro, perché è un sistema fatto per vendere e non per nutrirsi. È il sistema che produce la fame. Ora questo meccanismo sta rovinando anche i contadini europei, perché per fare agricoltura industriale gli strumenti sono troppo cari e la crisi peggiora la situazione. Si impoveriscono e sono diventati, almeno in Francia, la categoria di lavoratori che subisce più suicidi. Se c’è gente che fa piccoli orti, io dico «bene!» Un orto è un atto politico, di resistenza».
IDEE DECISIVE PER COLTIVARE BENE L’ORTO
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