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PIGMEI
Vivono nella foresta da millenni, la custodiscono, la venerano e difendono. Sono i Pigmei, popolo stanziato principalmente in Africa tropico-equatoriale, caratterizzato dalla bassa statura (sotto i 150 cm). E infatti il termine collettivo con cui vengono indicati, Pigmei, deriva dal greco pygmâios, il cui significato è “alto un cubito”. Vivono cacciando, pescando e raccogliendo frutti, in perfetta sintonia con l’ambiente che li circonda, di cui sono profondi conoscitori. Peccato che i popoli sedentari delle nazioni in cui vivono spesso non ne riconoscano i diritti territoriali, minacciandone la sopravvivenza. Ecco perché i Pigmei, nonostante siano fieri del proprio stile di vita e continuino a sentirsi perfettamente a proprio agio nella natura, pian piano stanno scomparendo.
ORIGINI
Il termine Pigmei è il nome collettivo con cui vengono indicati popoli di cacciatori raccoglitori di statura corporea ridotta (pigmeismo), diffusi soprattutto in Africa tropico-equatoriale, ma anche nell’Asia insulare e nella Nuova Guinea. Non sono uguali in quanto a cultura e organizzazione sociale, ma quasi tutti vivono di caccia, pesca e raccolta di frutti. Tra i sottogruppi si annoverano i Twa, i Baka, i Bambuti, gli Aka, tanto per citarne alcuni.
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CARATTERISTICHE
VITA DEI PIGMEI
La vita dei Pigmei è profondamente sintonizzata con la natura circostante, di cui conoscono tutti i segreti. Dalla foresta non solo ricavano il cibo necessario alla sopravvivenza ma anche piante ed erbe curative, di cui sono veri esperti. Estraggono unguenti contro gli insetti, veleni per le frecce, medicinali per malanni vari. A proposito della raccolta dei frutti, sono le donne a occuparsene, li trasportano fino all’accampamento in cestini e in gerle, suddividendoli con l’intera comunità e consumandoli nel breve termine. Tranne in alcuni casi, come per la manioca, che viene essiccata al sole e ridotta in farina, quindi conservata più a lungo.
Si spostano a seconda dei periodi da un accampamento a un altro e credono negli spiriti, tant’è che pur non avendo generalmente luoghi di culto né ricorrendo a feticci, sono soliti far consacrare agli stregoni amuleti e maschere, per proteggersi dagli spiriti maligni. Esistono anche tradizioni, nei sottogruppi, secondo le quali l’uomo e la donna sarebbero stati creati dal dio Kvum, che soffiò in una noce di cola. Secondo altre, fu Torè il creatore, che li fece così piccoli affinché potessero meglio nascondersi nella foresta. Miti che evidenziano, ancora una volta, lo stretto legame con Madre Natura. Confermato anche dalle abitazioni, realizzate utilizzando esclusivamente elementi naturali. Piccole capanne, generalmente coperte di foglie, somiglianti a igloo verdi. E dai nomi poetici che danno sia ai figli maschi che alle femmine: se i primi si chiamano spesso come gli animali e le piante, le bambine portano nomi di uccelli e fiori.
E nonostante i vari gruppi parlino lingue diverse, una parola li accomuna tutti, “Jengi”, che non a caso significa spirito della foresta. Per non parlare della ricca tradizione musicale e della danza, forme d’arte di cui sono esperti.
MINACCE PER I PIGMEI
La sopravvivenza di questa minoranza etnica (in Africa sono meno di 250.000) purtroppo è minacciata dalle popolazioni sedentarie dei paesi in cui vivono. Popolazioni restie a riconoscerne i diritti territoriali, che non si pongono problemi a scacciarli via dalle terre che abitano da millenni.Ulteriore problema è rappresentato dalla massiccia deforestazione: l’abbattimento di alberi su larga scala, oltre a essere devastante dal punto di vista ambientale, priva questi popoli della loro casa, violandone i diritti umani e lasciandoli praticamente per strada.
Una delle comunità più a rischio, al momento, è quella dei Baka, a causa della creazione del Parco Nazionale Messok Dja nel Congo nord-occidentale, finanziato dal WWF. I Baka non hanno acconsentito alla creazione del parco e ora devono vivere in accampamenti improvvisati ai margini della strada, perché nessuno ha pensato a loro. Come se non bastasse subiscono, stando a quanto riporta Survival International, soprusi continui da parte delle guardie. Ma “se blocchi l’accesso alla foresta, per un Baka è la fine del mondo.”
La triste vicenda che li riguarda richiama alla memoria i tanti soprusi che le minoranze etniche di tutto il mondo hanno dovuto subire (e continuano a subire) nel corso dei secoli. In fondo quello che succede ai Baka non è diverso da quello che accade agli Indiani d’America. Il più forte continua a prevalere sul più debole e anziché aprirsi al dialogo, impone le proprie regole, dando per scontata la propria (presunta) superiorità. E invece, dai Pigmei, avremmo molto da imparare, specialmente per quanto riguarda il rapporto con la natura. Rispettata e salvaguardata dal popolo della foresta anziché barbaramente (e poco civilmente) assoggettata.
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