Pink tax: la tassa sui prodotti femminili

Un margine di circa il 20 per cento rispetto agli articoli maschili. Una tassa rosa. Con una sola spiegazione: marketing e speculazione

Perché i prodotti per le donne costano di più?

La pink tax è il classico sopruso che le donne subiscono nella loro veste di consumatrici: un aumento del prezzo dei prodotti dedicati al pubblico femminile rispetto a quello pagato dagli uomini per gli stessi articoli. Marketing, a spese delle donne. Con questa solita parolina magica si spiega, ma non si può certo giustificare, un vero salasso che le donne devono subire: pagare di più, in media circa il 20 per cento, gli stessi prodotti rispetto agli uomini.

Perché i prodotti per le donne costano di più?

Inutile girarci intorno, è una questione di marketing. Se prestiamo un minimo di attenzione quando ci troviamo tra le corsie di un supermercato, ci renderemo facilmente conto di come le stesse tipologie di prodotto abbiano un prezzo diverso, a seconda che siano destinate all’uso femminile o maschile. Il costo sarà maggiore nel primo caso rispetto al secondo. Fate la prova: prendete in mano un deodorante commercializzato per lui e uno per lei. Non notate una chiara differenza di costo?

Quali sono

Secondo i dati di Federconsumator, i prodotti che se destinati alle donne costano di più rispetto a quelli pensati per il pubblico maschile sono i profumi, i deodoranti, i cosmetici in generale. Ma non solo: fanno parte di questo elenco perfino le biciclette. Quelle rosa costano di più rispetto a delle biciclette identiche ad eccezione del colore. Nello specifico:

  • Profumo per donna + 27 per cento
  • Deodorante rosa + 51 per cento
  • Jeans
  • Zaini
  • Caschi da motorino
  • Giocattoli

I rasoi

Perché i prodotti per le donne costano di più?

Torniamo a ribadire come questo sovrapprezzo non sia giustificato da reali caratteristiche. In sostanza è tutta una questione di marketing che gioca molto sugli stereotipi di genere. Secondo quanto si ritiene comunemente, le donne sarebbero più interessate al proprio aspetto fisico, e si lascerebbero conquistare – anche un po’ influenzare, se vogliamo – da una confezione accattivante, magari accompagnata da specifiche diciture in grado di catturare la loro attenzione e fare breccia nel loro cuore. Ma non si rendono conto che, così facendo, vanno a spendere una cifra ingiustificata, a parità di caratteristiche. Per rispondere alla domanda che fa da titolo a questo paragrafo ci rifacciamo a quanto dimostrato sulla rivista francese 60 Millions de Consommateurs. In questa  si ritiene che il sovrapprezzo sia in qualche modo legittimato da un particolare ingrediente o dicitura riportata sulla confezione. Sempre quando non si tratta di una scatola all’interno della quale, a parità di prezzo, è stato inserito un numero minore di prodotti. Pratica, questa, che purtroppo sta prendendo sempre più piede.

La tassa rosa

Ebbene, questa differenza di prezzo viene definita comunemente come pink tax, ovverotassa rosa. E consiste nel sovrapprezzo che la clientela femminile si ritrova – suo malgrado – a sborsare nel momento in cui decide di acquistare un profumo, un rasoio. Perfino un giocattolo. La pink tax non è una tassa immaginaria. Nonostante, come anticipato, i prodotti appartengano alla stessa categoria ed abbiano la stessa finalità, al pari dei costi di produzione, quelli declinati al femminile costano circa il 7 % in più. E’ questo il valore universalmente riconosciuto della tassa rosa.

Come evitare la pink tax

Ebbene, per evitare la pink tax basterebbe dedicare un attimo di riflessione sul prodotto, prima di inserirlo nel carrello. Se ci fermassimo a pensare come un rasoio da uomo funzioni esattamente allo stesso modo di uno “da donna” ma costi almeno il 7 (quando non di più)% in meno, probabilmente la nostra scelta ricadrebbe sul primo. Con un discreto risparmio economico e l’impagabile soddisfazione di “non essersi fatte fregare”. E lo stesso andrebbe fatto con tutti gli acquisti, quotidiani e non, che facciamo. Dai profumi agli shampoo, dai jeans agli zaini.

La tampon tax

Uno dei massimi esempi di tassa rosa è la tampon tax, ovvero l’Iva che viene pagata sui prodotti per l’igiene femminile (assorbenti in primis). Sappiamo bene come, per anni, questa sia stata pari al 22 % equiparando questi, così come altri prodotti indispensabili per le donne, ad un bene di lusso (come se avere il ciclo mestruale fosse una scelta, e non un inevitabile appuntamento mensile che la natura ci impone). Ebbene, dopo essere passata dal 22 al 10 % durante il Governo Draghi, è di qualche settimana fa la notizia che ci sarà un ulteriore ribasso dell’Iva su assorbenti (e pannolini) al 5%, per volere del Governo Meloni.

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