Parafrasando una canzone di qualche anno fa, per fare la plastica ci vuole il latte. Non è una suggestione fantasiosa, ma la realtà: è l’invenzione di un team di giovani donne dell’Università di Tor Vergata riunite in una start-up che ha a cuore l’ambiente.
Rifiuti come risorsa, nel pieno spirito dell’economia circolare e del claim di SPlastica, il marchio del nuovo bio-materiale creato dal latte andato a male.
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PLASTICA DA RIFIUTI ALIMENTARI
L’intuizione nasce da una squadra di ricercatrici in scienze e tecnologie chimiche, guidate dalla dottoressa Emanuela Gatto e accomunate dalle convinzioni ecologiste e ambientaliste. L’obiettivo è quello di creare materiali nuovi, green e sostenibili, partendo da fonti naturali, possibilmente di recupero.
SPlastica nasce così, pensando a ciò che in Italia si spreca più di ogni altra cosa, il cibo. Il latte, in particolare, secondo nella classifica domestica di ciò che si getta più facilmente. Ognuno di noi, secondo dati FAO del 2018, spreca 4,8 chilogrammi annui di latte e prodotti caseari, dato perfettamente in linea con lo spreco a livello industriale.
Un caseificio medio piccolo butta circa 300 mila litri l’anno di latte andato a male, ed è proprio da queste cifre che la squadra di SPlastica è partita per tentare di trovare una soluzione ad altre cifre impressionanti, quelle dell’inquinamento da materiali plastici.
Nasce così, dal latte andato a male, la nuova bioplastica nell’ambito del progetto Lazio No Plastic.
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BIOPLASTICA DAL LATTE
SPlastica è infatti un materiale perfetto per sostituire completamente la plastica dura delle stoviglie usa e getta per bar e ristoranti, che rappresentano il una fetta importante della torta del consumo, e dell’abuso, di polimeri plastici.
Il nuovo materiale è eco-compatibile, biodegradabile e riutilizza scarti alimentari non edibili. Persino il procedimento con il quale viene fatto è ecosostenibile.
Niente a che vedere, però, con bioplastiche poco resistenti o coi materiali tipo il mater-bi, perché SPlastica resiste a temperature altissime, fino ai 60 gradi, o bassissime (fino a meno 196 gradi centigradi) e l’utilizzo è garantito per 18 mesi. Ci si possono fare tazze, bicchieri o cucchiaini, a costi davvero accessibili.
Questo perché la materia di partenza è economica, si trova in grande quantità e ha un’ottima resa.
Ma c’è un’ulteriore voce di costo che viene abbattuta, quella relativa ai costi di smaltimento, che utilizzando la plastica derivata dal latte vengono praticamente annullati: un tappo fatto di questa bioplastica si degrada del cento per cento in soli 45 giorni.
Premiata dalla Regione Lazio come migliore start-up del 2018, la piccola impresa nata nell’incubatore della seconda università di Roma non intende fermarsi, ed è sicuramente uno degli esperimenti di bioplastica più interessanti degli ultimi tempi.
(Photo credits: SPlastica.com)
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