Accompagnato dalle solite fanfare del marketing, che a sua volta è ben lubrificato dagli investimenti pubblicitari, è arrivato l’ultimo, clamoroso annuncio di Poste Italiane: la società ha scoperto che in Italia esistono i piccoli comuni. E non possono essere ignorati o calpestati, come è avvenuto finora. Finalmente una buona notizia.
PERCHÉ FINORA POSTE ITALIANE HA TRASCURATO I PICCOLI COMUNI?
Davanti a una platea di ministri adulatori, l’amministratore delegato di Poste Italiane, Matteo Del Fante, ha spiegato che con il progetto Polis (di fatto finanziato con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza) 7mila uffici nei piccoli centri che offriranno alla clientela non soltanto i servizi di Poste ma anche una serie di prestazioni (dai passaporti ai certificati anagrafici) della pubblica amministrazione. Un’ottima idea. L’unica cosa che non si capisce è perché Poste, invece di tagliare gli uffici postali nei piccoli centri italiani, creando disagi a milioni di cittadini (che qui vanno anche a ritirare la pensione), in questi anni non abbia pensato prima alla riconversione di luoghi che sono dei veri e propri presidi di comunità. Pensate ai piccoli borghi, alle isole minori, ai centri dell’Italia alpina: i tagli delle Poste, che fino al 30 aprile 2026 è affidataria del servizio nazionale postale (leggi: consegna lettere e pacchi in tutta Italia), sono stati dei colpi mortali per queste popolazioni. E con la sua solita onestà intellettuale, di fronte alle fanfare pronte a incensare Poste Italiane, Sergio Mattarella ha ricordato che i piccoli comuni italiani, borghi compresi, rappresentano l’80 per cento del territorio nazionali. Dove vi è stata, sono parole del Capo dello Stato, «una deriva della riduzione dei servizi pubblici essenziali». Con Poste Italiane in prima fila.
(Credits immagine di copertina: Cineberg/Shutterstock.com)
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