PRO E CONTRO OPEN SPACE
L’ufficio è come una seconda casa, che può diventare accogliente proprio come le nostre dimore o un inferno come un luogo in cui non ci sentiamo a nostro agio, con conseguenze che vanno a ricadere sull’umore, sul lavoro stesso, sulla produttività in termini di risultati e obiettivi ma anche e soprattutto sulla nostra felicità.
In ufficio, infatti, passiamo il 50% delle nostre giornate feriali, il 15 % della vita intera. Non stupisce che architetti, interior designer, psicologi del lavoro e delle organizzazioni spendano il loro tempo per studiare il miglior modo per organizzare lo spazio lavorativo.
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UFFICIO OPEN SPACE
In principio furono i cubicoli: anguste e strette cabine che vediamo anche nei film anni ‘50 che sicuramente non erano il massimo del comfort: tant’è che, nel 1964 Robert Propst ideò il concetto di ufficio senza muri né barriere tra i colleghi, quello che oggi chiamiamo open space. L’idea era una vera e propria rivoluzione negli uffici, ripensava non soltanto al concetto dello spazio negli ambienti lavorativi, ma anche la prossemica tra i colleghi e le colleghe, i rapporti di conoscenza, di lavoro e di cooperazione, ma diede non pochi grattacapi al suo ideatore e ai primi sperimentatori, non abituati alla poca privacy che un ufficio open space comporta, tra le altre cose.
In effetti i pro e i contro dell’ufficio senza barriere sono tanti, così come i sostenitori e i detrattori di questo modo di intendere la vita in ufficio.
A fronte di chi, come l’architetta-psicologa Elisabeth Pélegrin-Genel, sostiene che l’assenza di mura faciliti la comunicazione e garantisca un migliore e più efficiente scambio di informazioni e idee, c’è tutta una scuola di pensiero, inaugurata nel 1998 dal libro “Workplaces of the future” del neurologo Paul Thompson, che afferma il contrario.
Uno studio, tutto italiano, del Politecnico di Bari, pubblicato su “La Medicina del Lavoro”, invece demolisce l’open space, considerandoli luoghi inadatti per riuscire a lavorare bene: a far perdere la concentrazione sono prima di tutto le voci dei colleghi (31 per cento), poi i telefoni (27%), gli impianti di condizionamento (15%), le macchine da ufficio (13%) e rumori esterni vari (13%).
Conclusioni confermate da uno studio dell’osservatorio francese Actinéo sulla qualità del lavoro, secondo cui solo il 51% dei dipendenti che ha a che fare con un open space riesce a concentrarsi sulle proprie mansioni, contro l’83% degli impiegati che utilizzano l’ufficio individuale.
Le intenzioni di Propst erano però più che buone: per lui l’open space avrebbe garantito la privacy senza ricorrere ai muri, fornendo a ciascun impiegato un proprio spazio da personalizzare sia in orizzontale, con la scrivania, che in verticale, attaccando fogli e poster, aumentando il calore e la personalità dell’ambiente circostante. La parola d’ordine del suo “spazio lavorativo aperto” era “a portata di mano”.
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VANTAGGI E SVANTAGGI OPEN SPACE
In effetti le posizioni dei detrattori dell’open space sono troppo rigide, occorre valutare bene anche altri studi e altri dati che invece fanno pendere l’ago della bilancia a favore delle intuizioni di Propst: l’ultimo studio in ordine di tempo è uno, autorevole, dalla rivista inglese Occupational and Environmental Medicine. Il risultato? Gli open space fanno bene. I lavoratori che si trovano in un ambiente aperto, infatti, sembrano essere più sani sia fisicamente che psicologicamente.Il team di ricerca, capitanato da Casey, ha studiato 231 impiegati dotati di sensori di stress, monitorandoli tramite una app che inoltre segnalava i livelli di tensione durante la giornata. I risultati sono parzialmente immaginabili: chi condivide gli spazi è il 32% fisicamente più attivo rispetto a chi ha un ufficio privato e il 20% rispetto a chi lavora ingabbiato nei cubicoli.
Ma c’è una sorpresa: chi lavora tra quattro mura rischia di essere più ansioso e infelice, poiché i lavoratori in open space hanno livelli di stress inferiori ai loro colleghi impiegati in uffici tradizionali.
C’è comunque un ultimo elemento negativo: il rumore degli spazi condivisi, che non va sottovalutato. Solo l’1% degli impiegati negli open space, è in grado di lavorare senza distrarsi e senza l’ausilio di cuffie, auricolari, tappi per le orecchie o musica da concentrazione, riportando maggiori livelli di stanchezza a fine turno.
Forse, per trovare una sintesi, potrebbe essere utile capire bene che tipo di ambiente necessita il lavoro di cui ci si occupa, per modellare lo spazio in base alle esigenze dei lavoratori. Come sempre, ascolto e dialogo sono la soluzione migliore.
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