Spesso e volentieri i produttori di cibo anticipano le date di scadenza per motivi precauzionali: una mala abitudine che ha dato l’avvio un progetto di ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia con l’obiettivo di arrivare a estendere il periodo di vita dei prodotti alimentari, combattendone lo spreco.
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PROGETTO UNIVERSITÀ DI MODENA CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE
Il progetto dell’Unimore si intitola Shelf-life Secondaria, e si basa dunque sull’analisi della effettiva validità della shelf-life, la “vita sullo scaffale” di un prodotto alimentare, il tempo che intercorre fra la sua produzione e il suo consumo senza che vi siano rischi per la salute. Il presupposto dello studio arriva direttamente dall’analisi dei comportamenti domestici: spesso i prodotti non vengono consumati, ma anzi gettati, per via dell’eccessiva scrupolosità nel seguire quanto indicato in etichetta con diciture quali consumare entro x giorni dall’apertura. L’indagine, dunque, punta ad evidenziare il legame tra spreco a livello domestico e periodo di vita utile dopo la prima apertura delle confezioni
«L’ipotesi che sta alla base della ricerca – commenta Fabio Licciardello, ricercatore e coordinatore scientifico del progetto in una dichiarazione all’agenzia DIRE – è che la reale vita utile dopo la prima apertura possa essere più lunga di quanto indicato, spesso in maniera approssimativa ed eccessivamente prudenziale, dai produttori».
Finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Agroalimentari e Forestali, che ha foraggiato con apposito bando una serie di progetti per la limitazione degli sprechi alimentari, il team del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia, coordinato da Licciardello, è impegnato a condurre simulazioni di uso e consumo dei prodotti in contesti casalinghi, testandone la shelf-life reale con analisi microbiologiche e organolettiche al fine di misurare le variazioni di qualità e stabilire, così, il reale tempo di vita utile dopo la prima apertura.
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PROGETTO SHELF-LIFE SECONDARIA MODENA
In un’intervista alla Gazzetta di Modena, Licciardello, 41 anni, da tre anni nell’ateneo modenese, spiega che l’idea è nata proprio perché, eticamente ed economicamente, lo spreco non è più sostenibile: «L’industria alimentare – spiega- si focalizza molto sulle indicazioni di scadenza dei prodotti integri ma resta molto più generica sulla conservazione a prodotto aperto. Che per nostre esperienze personali abbiamo rilevato superiore a quella indicata. Da qui l’idea di sperimentare con metodo scientifico la dinamica su una serie di categorie iniziali: conserve vegetali, latti e sostituti vegetali del latte, prodotti di salumeria». Una durata sullo scaffale che, nella realtà è maggiore del 50 per cento: in buona sostanza, buttiamo alimenti che sono, tecnicamente, più che mangiabili, incidendo sul portafoglio e sullo spreco alimentare domestico.
Obiettivo da raggiungere nel medio-lungo periodo, dopo la prima fase di tipo prettamente analitico, è lo sviluppo di un packaging “intelligente” che possa estendere la self life secondaria dei prodotti alimentari. Insieme al dipartimento di Economia dell’Unimore, poi, stanno pensando di estendere le analisi ad altri tipi di cibi, allargandola a tutti i prodotti confezionati.
PROGETTI CONTRO LO SPRECO DI CIBO:
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