PROTESTE STOP IMMIGRAZIONE USA –
Se c’è una cosa che Donald Trump è riuscito finora a ottenere con la sua svolta nella politica americana sull’immigrazione è una sorta di unanimità nazionale internazionale contro la sua decisione di sospendere l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen). Hanno protestato l’Onu e l’Unione europea, i potenti procuratori generali di 16 stati americani ed i potentissimi vertici del ministero degli Esteri. Si sono rivoltati contro il presidente americano appena eletto, in coro, i super miliardari della Silicon Valley come una quantità infinita di associazioni che difendono la cittadinanza americana.
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PROTESTE CONTRO TRUMP –
Le obiezioni contro la demagogica stretta di Trump sull’immigrazione sono di varia natura e riguardano innanzitutto il cuore della storia americana e della sua epopea. Provo a dirlo con una battuta: senza l’immigrazione non ci sarebbero gli Stati Uniti come li conosciamo oggi, ovvero una nazione solida, ricca, potente e in grado di dare opportunità a tutti. Non a caso, proprio dalla Silicon Valley, sono arrivati una serie di messaggi firmati a Trump per ricordare come si sono creati questi imperi mondiali non solo dell’economia ma in generale degli stili di vita. Il padre di Steve Job, solo per fare qualche esempio, il geniale fondatore di Apple, era siriano. Sergey Brin, creatore di Google, è un rifugiato, come i nonni di Mark Zuckerberg, arrivati dalla Germania, dall’Austria e dalla Polonia travolte dal nazismo. Anche in questo caso provo a dirlo con una parola: l’intera economia digitale, quella che ha rivoluzionato la vita di tutti i cittadini di tutto il mondo, non esisterebbe senza la spinta vitale arrivata dall’onda lunga dell’immigrazione e dell’accoglienza americana.
Terza obiezione da non sottovalutare tra le tante che sono state fatte a Trump: ha scritto una lista di paesi, i terribili 7, a maggioranza musulmana e in qualche modo implicati nell’area grigia di reclutamento e di sostegno del terrorismo di matrice islamica. Peccato però che in questo elenco manchi un paese imputato eccellente, l’Arabia Saudita, da sempre indicato come il finanziatore numero uno del terrorismo che insanguina il Pianeta e non solo gli Stati Uniti. Qui più che il dubbio scatta la certezza: il presidente americano non ha voluto disturbare un paese molto pericoloso, ma anche molto utile per gli affari dei tycoon e degli industriali americani (specie nel settore petrolifero), ovvero l’universo di riferimento di Trump. Una bella furbata, anche molto cinica.
(Credits: Hayk_Shalunts / Shutterstock)PER APPROFONDIRE: Il sindaco di Riace, paese modello di una buona e pacifica immigrazione
PROTESTE CONTRO DECRETO IMMIGRAZIONE TRUMP –
Ricapitolate tutte le critiche, poiché diffido sempre dei cori unanimi, devo aggiungere due punti che ci fanno riflettere sulla politica sull’immigrazione di Trump. Non piace a nessuno, a leggere i commenti, ma convince il 51 per cento degli americani, stando ai sondaggi fatti in “tempo reale”. Quindi attenzione a non sottovalutare quel “disagio sociale” che in America si fa molto sentire, fino a essere stato determinante proprio per la vittoria di Trump, nelle classi medio-basse e non nei circoli di classi dirigenti sempre più distanti dalla società. Si rischia di fare lo stesso errore di sottovalutazione commesso a proposito del favore popolare che ha portato Trump alla Casa Bianca.
PROTESTE CONTRO DECRETO IMMIGRAZIONE TRUMP –
Venendo, infine, dall’America a casa nostra, c’è da dire che alzare muri, bloccare l’immigrazione da interi paesi, fomentare odi e divisioni, sono tutti errori e sprechi nella gestione di un fenomeno che nessuno potrà mai davvero arrestare. Ma è altrettanto vero che tutti i paesi occidentali, nessuno escluso, sono stanchi di un’immigrazione incontrollata e dei continui varchi che, nelle maglie del caos, si aprono per i terroristi. Dunque, alcune regole servono e vanno ribadite. Come, per esempio, sta affermando (finora sono parole, poi vedremo i fatti) il ministro italiano Marco Minniti quando promette di «allontanare chi non rispetta le regole», di espellere gli immigrati irregolari (nel 2016 sono stati rimpatriati solo uno su due) e di accelerare al massimo le procedure per assegnare o meno lo status di rifugiato a chi presenta questa richiesta (oggi passano mesi e perfino anni). L’immigrazione non si gestisce con le regole di Trump (e in Italia quasi il 30 per cento dei comuni fa accoglienza), ma non può essere neanche affidata all’improvvisazione, alla demagogia e all’incapacità di coniugare diritti umani e sicurezza dei popoli.
(Credits: vnews.tv / Shutterstock) – (Credits immagine di copertina: katz / Shutterstock)
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