Nello sfarinato sistema Italia c’è uno spreco sommerso, ma non per questo meno pericoloso: il non fare. La rinuncia, per svariati motivi, a quelle opere infrastrutturali che servono al Paese, dagli impianti per i rifiuti alla sistemazione della rete idrica, ha un costo salatissimo. Un gruppo di ricercatori della Bocconi, guidati dal professore Andrea Gilardoni, docente di Economia e gestione d’impresa all’università Bocconi, lo ha quantificato al centesimo: 474 miliardi e 300 milioni di euro. Quasi 500 miliardi. Sono i soldi che si potrebbero investire in Italia, da oggi al 2027, per aprire una serie di cantieri e potenziare le reti energetiche ed idriche, investire nei termovalorizzatori di nuova generazione, sviluppare autostrade, ferrovie e porti. Già, investire, con un mix di finanziamenti pubblici e scommesse private per rendere l’Italia più competitiva ed aprire la strada a una ripresa economica fondata su politiche keynesiane.
Facciamo qualche esempio. In Italia servono 50 nuovi termovalorizzatori per mettere in sicurezza il sistema di smaltimento dei rifiuti ed evitare la scandalosa vendita all’estero (a pagamento) della nostra immondizia: con questi impianti si potrebbero anche chiudere le discariche, comprese quelle abusive controllate dalla malavita organizzata. Per ottenere un buon livello di risparmio energetico, secondo gli esperti della Bocconi, bisogna incrementare le rinnovabili termiche per 38mila MW e puntare su 14 miliardi di metri cubi di capacità di rigassificazione. E ancora: con un rete idrica che perde oltre il 30 per cento dell’acqua trasportata, è indispensabili la sostituzione di 700 chilometri di tubi, con la costruzione di depuratori per 18 milioni di abitanti.
Le proposte del team bocconiano rappresentano una sorta di Agenda del fare, da qui al 2027, ed è chiaro che molte di queste opere resteranno soltanto sulla carta. Visto da vicino, il meccanismo delle opere infrastrutturali, decisive per la ripartenza dell’economia in tempi di Grande Crisi, non sono bloccate tanto da questioni finanziarie. I soldi scarseggiano, ma ci sono. Quello che più pesa sono i veti incrociati delle singole amministrazioni, la giungla dei passaggi burocratici, la scarsa autorevolezza della politica di fronte alle pressioni, talvolta demagogiche, dell’opinione pubblica. In compenso, soldi e consensi si trovano per le opere concluse e abbandonate: 67 soltanto nel 2011, secondo il censimento dell’Osservatorio Nimby.
Qualche esempio? La stazione Tiburtina a Roma finora è costata 350 milioni: doveva servire per 140 treni ad Alta velocità, oggi ne ospita appena 44. L’ospedale di Gerace, in Calabria, è stato varato, sulla carta, dalla Cassa per il Mezzogiorno nel lontano 1976: da allora ha ingoiato 4 milioni e mezzo di costi senza mai entrare in funzione. Non fare o fare male: due lati dello stesso spreco di denaro pubblico.
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