Quanto inquina l’industria della moda

Oltre 110 milioni di tonnellate di fibre, e solo l’1 per cento vengono riciclate. Il caso italiano e la speranza di un nuovo procedimento

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Diffidate da qualsiasi marchio della moda, dalla fascia bassa al lusso estremo, che si autoproclami sostenibile. La realtà è che il settore dell’abbigliamento resta uno dei più inquinanti del mondo, e non si vedono grandi soluzioni all’orizzonte, se non quella, che ha bisogno di molto tempo per consolidarsi, di modificare in modo radicale gli stili di vita e prendere l’abitudine di riciclare qualsiasi capo.

Attualmente si producono, ogni anno, circa 110 milioni di tonnellate di fibre, che diventano poi rifiuti. Di questo oceano di spazzatura soltanto l’1 per cento viene riciclato, mentre tutto il testo finisce nelle discariche (quasi sempre nei paesi più poveri) o negli inceneritori. 

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Tra le innovazioni tecnologiche che si stanno studiando per rendere più circolare l’industria della moda, c’è un procedimento pubblicato sulla rivista Science Advance. Attraverso diverse fasi, le componenti dei tessuti misti di poliestere, cotone, nylon, e altri materiali, vengono continuamente scomposte e separate. Fino alla formazione di molecole molto più piccole, che poi sono usate per produrre nuove fibre. Secondo i ricercatori che hanno messo a punto il procedimento, in questo modo si potrebbe arrivare a una percentuale di recupero e di riutilizzo dei rifiuti legati al ciclo di produzione dell’abbigliamento superiore all’80 per cento. 

Rifiuti tessili in Italia

La produzione di rifiuti tessili in Italia è in continua crescita. Secondo gli ultimi dati dell’Ispra, che si riferiscono all’anno 2022, l’industria della moda ha generato 160mila tonnellate di rifiuti, per 500 milioni di vestiti (nel 2021 le tonnellate erano 154mila). Con questi valori, siamo arrivati a 2.7 chilogrammi di spazzatura per ogni abitante. La maggiore parte dei rifiuti tessili si concentrano nelle regioni del Nord (80mila tonnellate), poi ci sono quelle meridionali (46mila e 700), e infine le regioni del Centro (33mila e 500). 

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