Danni e pericoli del rancore

Sparge cattivi odori nel cuore e nella mente. Non a caso la parola deriva da 'rancere', rancido. Chi è il rancoroso e perché portiamo rancore

IL RANCORE ROVINA LA VITA

Se provate a ricostruire le fiamme dell’incendio divampato dentro di voi con la miccia del rancore, farete presto una scoperta preziosa: in questo sentimento non c’è nulla di utile. È spreco puro. Di energie, sentimenti, tempo. Ci sono sempre buoni motivi per scatenare  questo misto di rabbia e sdegno, e di spingerlo fino al confine, sottilissimo, con la palude dell’odio, e dunque non è molto importante scavare nelle cause del rancore. Potrebbe essere un torto che abbiamo subito. Una ferita che non ci aspettavamo. Un senso latente di invidia per chi ha ottenuto dei risultati inaspettati, che noi non siamo riusciti neanche a sfiorare. Un complesso di inferiorità rispetto a quanti riescono a suscitare empatia e ammirazione, senza neanche sforzarsi troppo, quasi in modo naturale, istintivo. L’espansione di un rimpianto, molto più doloroso della dolcezza della nostalgia, per ciò che potevamo fare e non abbiamo fatto.

Le cause

Il rancore è una forma di risentimento e di rabbia a effetto prolungato. C’è qualcosa di irrisolto che abbiamo dentro e non vogliamo chiudere. Non riusciamo a voltare pagina, e neanche riflettiamo su chi paga il prezzo di questa inerzia: noi stessi. Magari la persona che abbiamo trasformato nel bersaglio del nostro rancore, neanche si accorge del sentimento che ci allontana da lei. Nella sua potenza distruttiva, la prima cosa che viene uccisa dal rancore è la fragilità dei nostri sentimenti. Quanto mai necessaria in tempi di narcisismo e di egoismi dilaganti. Dobbiamo essere vulnerabili, pronti a cadere per rialzarci, non possiamo avere paura dei nostri errori e del dolore che ne consegue. Il rancore è un insetticida di tutto ciò che circola attorno all’amore, anche nel suo stato primordiale. Nel momento in cui lo spruzziamo la vita si impoverisce, il cuore si indurisce e rischiamo di restare intrappolati nel buio del nostro egoismo. Lontani dal piacere di una vita fatta di relazioni sane, dense e leggere ma allo stesso tempo profonde. Indifferenti e derubati di quell’attenzione che di fatto è un sinonimo di amore. Per chiunque ed a qualsiasi età.

Che cosa vuol dire portare rancore?

Un’altra vittima del rancore è l’energia fisica. Non ci crederete, ma il rancore è uno sforzo che mette in discussione perfino muscoli e fisico. Se fate una ricerca su Internet, scoprirete che esistono diversi studi in base ai quali le persone rancorose hanno precisi connotati estetici. Sguardi torvi, ma innanzitutto muscoli facciali induriti. E la fatica del rancore, tutta sprecata, non si recupera, neanche nel tempo. Si disperde come polvere al vento, laddove basterebbe un attimo di ironia, di leggerezza calviniana, per evitare al misto di rabbia e sdegno di prendere piede e allungarsi con il suo odore di muffa ovunque nella nostra persona. Sì, avete capito bene: muffa. Il rancore spande cattivi odori, il lezzo di una cosa stantia. E questo è chiaro già nell’etimologia della parola che deriva dal latino rancere, ovvero rancido. Un aggettivo  che descrive a pennello l’uomo rancoroso. Anche per questo il rancore, destinato per sua natura ad espandersi senza limiti, produce danni molto diretti alla nostra salute. Per esempio: abbassa le difese immunitarie e aumenta i rischi di malattie cardiache.

I danni del rancore

Restando alla metafora dello spray, il rancore elimina con gettiti velenosi la nostra capacità di esprimere dubbi, di mettere in discussione le nostre idee e i nostri punti di vista. In un colpo solo ci barrichiamo dentro alcune certezze, comprese le più miserabili. Non accettiamo più domande, dubbi. E rischiamo, nel naufragio verso l’intolleranza, di non capire il senso della vita, i punti cardinali dello stare al mondo, il tessuto vitale delle relazioni. La realtà della cose ci sfugge, diventiamo irragionevoli,  e conta solo ciò che vediamo attraverso l’orizzonte del nostro ombelico. Un atteggiamento che può tracimare in comportamenti collettivi, come abbiamo visto nel caso di molte società, a partire da quella italiana, colpite dalla durezza e dalla lunghezza della crisi economica. Società rancorose, e dunque mutevoli e instabili nei loro stati d’animo.

Come si distingue il rancore dall’odio

Gli strizzacervelli di solito fanno una distinzione fondamentale tra il rancore e l’odio. Il rancore, secondo questa differenza, è passivo, non implica una reazione, e può covare anche all’infinito nelle zone buie della nostra intimità. Senza mai venire fuori, senza mai esplodere. L’odio invece è attivo: mette in moto un’azione-reazione, anche violenta, sotto forma di vendetta. In realtà, se guardiamo entrambi questi stati d’animo più da vicino, ci rendiamo conto che rancore e odio, purtroppo, se non sono fermati in tempo, finiscono per alimentarsi a vicenda. Anche per lunghissimo tempo.

Chi è il rancoroso?

Il rancoroso è un personaggio universale. Come l’avaro, per restare alla categoria delle persone che chiudono il loro cuore. Per averne un’immagine compiuta, basta dare una lettura a qualcuno dei tantissimi protagonisti, prigionieri del rancore, che popolano i romanzi della grande letteratura ottocentesca, quella che ha scolpito uomini e donne universali. I rancorosi distruggono, patrimoni e amori, piaceri e sentimenti, emozioni e vita. Scrive Balzac in Papà Goriot: «Se il cuore umano può fare qualche sosta quando ascende verso le altitudini dell’affetto, raramente si arresta sul ripido declivio del rancore». E questo perché il rancore, come ci ricorda l’antica letteratura persiana, è un albero che getta radici profonde, difficili da sradicare. La persona rancorosa, andando indietro alla fatuità di questo sentimento, spreca tempo prezioso, e fa terra bruciata di quella saggezza che abbiamo prima nel cuore e poi nella testa. La saggezza di non essere travolti dalle cose, anche le peggiori, di non rinunciare al valore dei fondamentali, come la gentilezza e la tolleranza, di provare sempre a coniugare nei nostri atteggiamenti la libertà con la responsabilità. E quando il rancore sale, trasferendosi dalla testa agli occhi fino ad annebbiarli, ricordiamoci banalmente di Dante e di un verso al quale dovremmo essere molto affezionati come cultori della vita lieve. Recita così: «Non ti curar di lor, ma guarda e passa…».

Come fermare il rancore con cinque verbi

Liberarsi del rancore e della sua energia negativa non è semplice. Non esiste una pillola in grado di salvarci, e non possiamo cavarcela con qualche superficiale buona intenzione. Però abbiamo a disposizione 5 verbi che possono aiutarci.

  • Rivedere. Proviamo a riavvolgere il film del nostro risentimento così prolungato, senza stare troppo a badare ai particolari. Magari andando indietro scopriamo che qualcosa nella nostra narrazione, in quello di cui siamo convinti, non torna. È un punto di partenza interessante per chiudere la questione.
  • Sgonfiare. Alla base del rancore, molto più frequentemente di quanto immaginiamo, c’è un errore di metodo: qualcosa di esagerato. Una parola che abbiamo sopravvalutato, e magari era solo una battuta infelice, un atteggiamento che abbiamo valutato con eccessiva severità, o con il famoso ditino puntato nell’atteggiamento di chi vuole sempre giudicare. Motivo per cui sgonfiare l’origine del risentimento è già un modo per depotenziarlo fino al suo annullamento.
  • Imparare. Ogni errore di valutazione di una persona è una sconfitta, e qualcosa brucia dentro di noi. Però proviamo a rovesciare il punto di osservazione. L’esperienza, anche quella negativa, ci consente di imparare ed evitare errori futuri. In fondo, le relazioni umane altro non sono che un continuo allenamento. Con nostri simili, uomini e donne che, come noi, mescolano il bene e il male.
  • Tergiversare.Ovvero prendere tempo, che non significa diventare un procrastinatore. Il tempo è una variabile fondamentale per fermare il rancore: se non è maturo, inutile provarci, meglio attendere. Ma se è venuto il momento, è inutile indugiare. E questa scelta dobbiamo sentirla dentro, senza respingerla, una volta che tenta di venire a galla.
  • Riconciliare. È una cosa diversa dal perdono, e se volete è anche più leggero come atteggiamento. Si tratta di pesare i diversi fattori in campo. Da un lato abbiamo la perdita di una relazione e un malessere interiore, entrambi sotto il segno comune del risentimento. Dall’altro lato ci sono l’offesa e\o il torto subito. Se riflettiamo, potremmo scoprire una netta sproporzione tra questi due fattori, e allora vuol dire che è venuto il momento di fare il passo giusto per la riconciliazione.

Il rancore in un libro

I danni del rancore, che possono accompagnarti per tutta la vita, sono raccontati molto bene in un noir che si legge tutto d’un fiato: Gli anni belli (edizioni La Vita Felice), scritto da Stefano Brusadelli. Cinque ex compagni di scuola (un poliziotto, un commercialista, un carrozziere, un commesso di un negozio di calzature, un avvocato) si ritrovano molti anni dopo intorno all’enigma di un delitto. Portano addosso le cicatrici di antichi rancori che non sono mai riusciti a cancellare, fino ad avvelenare le loro esistenze. In un regolamento di conti che neanche la morte, nella forma più violenta, riesce a chiudere.

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