Francesco Guccini è uno straordinario scrittore e cantante, ma ha anche una particolare capacità di osservazione. Guarda il mondo attraverso le lenti del cambiamento, senza però cedere alla tentazione del modernismo ideologico e talvolta ci porta indietro, a vecchie abitudini, a vecchi stili di vita, che abbiamo smarrito e forse è venuto il momento di recuperare. In un suo libro molto efficace, Nuovo dizionario delle cose perdute (edizioni Mondadori), Guccini ci racconta il piacere del barbiere (per gli uomini) e del parrucchiere (per le donne). E rimpiange un rito scomparso. Ovvero andare dal barbiere non solo per necessità, tagliare la barba e accorciare i capelli, ma anche per il piacere di avere del tempo da dedicare a se stessi. Senza fretta e senza ansie. Ma solo oziando e discutendo di calcio, di politica, di cibo, di donne. Insomma il barbiere come piccolo piacere della vita che non è ossessionata dall’orologio con i continui appuntamenti.
Non a caso i barbieri stanno scomparendo. E talvolta vengono sostituiti da ibridi negozi unisex, dove tutto si mescola. La barba ormai la fanno in pochi (un tempo si faceva solo con il rasoio a mano, il pennello e la schiuma, per poi finire con il panno caldo sul viso), mentre si preferisce utilizzare la macchinetta elettrica in casa. E anche i capelli, se ci fate caso, li facciamo correndo, con fretta, e senza gustare il piacere della sosta e dell’ozio. La modernità ha ucciso un mestiere, che invece va rivalutato, e un metodo, quello di una vita che non soffoca sotto il peso del tempo di cui non siamo più padroni ma solo schiavi.
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