Riarmo europeo: l’imperdibile ironia di Crozza contro gli inutili e velleitari sprechi militari annunciati a Bruxelles (VIDEO)

Un privo di qualsiasi senso politico e di realismo. Che comporta soltanto uno spreco di soldi e qualche regalo all’industria bellica dei grandi paesi dell’Unione

riarmo europa scaled

L’imperdibile ironia di Maurizio Crozza nei panni di una lady Ursula von der Leyen con l’elmetto in testa per presentare il suo piano intitolato giustamente Rearm Europe, cioè Riarmare l’Europa, basterebbe a demolire un’idea velleitaria, cinica, propagandistica e priva di qualsiasi senso politico, se non quello di sprecare una montagna di soldi per una inutile corsa alle armi. Il piatto è ricco, e tutte le grandi aziende degli armamenti in Europa, sono pronte a tuffarsi a pesce: si parla di 800 miliardi di euro e della sospensione di qualsiasi regola fiscale per la spesa militare. Una manna dal cielo, con il timbro della Commissione e del Parlamento europeo.

 
 
 
 
 
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Ma perché si tratta di uno spreco allo stato puro, al momento capace soltanto di generare entusiasmi sui mercati finanziari nel settore degli armamenti? Le risposte sono diverse, e messe in file ci aiutano a capire quanta strada l’Europa deve percorrere per conquistare un ruolo nel nuovo mondo che si sta disegnando. La prima balla della presidente della Commissione è che l’Europa si deve riarmare (ammesso che non abbia già armi) perché è «il momento della pace attraverso la forza». In qualche modo, la von der Leyen resuscita e reinterpreta a suo uso e consumo l’antico motto latino, Si vis pacem, para bellum («Se vuoi la pace prepara la guerra»). Una qualsiasi persona di buon senso è in grado di rendersi conto che questa idea, nell’Europa di oggi, non ha alcun significato. Da un punto di vista geopolitico, il nuovo ordine mondiale è chiaramente tripolare (America-Cina-Russia), nelle mani di tre potenze che non hanno bisogno di annunciare “Riarmi” perché non hanno mai smesso di aumentare la loro dotazione militare. Questo non significa che l’Europa non possa avere un ruolo, anche determinante, nello scacchiere mondiale. Ma non certo attraverso il potenziamento del suo arsenale bellico. Possiamo essere protagonisti come una forza-cuscinetto, di mediazione, tra le super potenze destinate a essere perennemente in conflitto, diventando così focolai di una endemica instabilità mondiale. Vi sembra un ruolo marginale? E non ha molto più senso di qualche annuncio all’insegna di un velleitario riarmo? Nessuno, al di fuori dell’Europa, con i suoi valori, la sua storia, la sua cultura, può giocare questo ruolo nel mondo. E siamo molto bravi, specie noi italiani, anche nelle missioni di peacekiping, quando siamo chiamati, come è avvenuto in Libano per tanti anni e in diversi zone calde del mondo, a garantire un equilibrio reso precario dai venti di guerra che soffiano a ogni ora del giorno e della notte. Tra l’altro questo ruolo di «stabilizzatore» della pace è in linea con i sentimenti delle opinioni pubbliche europee, che dopo aver visto  le stragi e i milioni di morti di un secolo, il Novecento, insanguinato da due guerre mondiali nate nel vecchio continente, non vogliono più sentire parlare di conflitti armati. Li rifiutano, non solo nelle costituzioni, come quella italiana. E l’Unione europea che oggi la von der Leyen presiede, da leader della Commissione, ma senza alcuna legittimazione popolare, è nata innanzitutto per questo. Per coltivare la pace, ovunque e in primo luogo in Europa, e non per fare la corsa agli armamenti. Ovviamente, con il dovere di schierarci, come abbiamo fatto con chiarezza, nel caso dell’invasione dell’Ucraina, quando c’è una palese violazione dei diritti di uno stato e di un popolo. L’azione che spetta all’Europa è diplomatica e culturale, non militare.

Il secondo argomento è ancora più fragile del primo: Vladimir Putin non si fermerà all’Ucraina, e dopo avere incassato il dividendo di una pace conquistata sulla pelle di un popolo, passerà a nuove conquiste nei territori europei, in una versione da moderno Hitler della prima e drammatica stagione espansionista. Ammettiamo che questa cosa sia vera, anche se resta tutta da dimostrare, davvero pensiamo di fermare Putin con qualche acquisto militare? E magari andando a rincorrere un fantomatico esercito europeo (fatto da chi? E al comando di chi?)? Questo argomento è privo di serietà prima che di realismo, e torno all’ironia di Crozza. L’unico ombrello militare sul quale l’Europa può e deve contare è la Nato, dove se fossimo davvero consapevoli della necessità di fare concreti passi avanti sulla strada dell’integrazione, almeno nel settore della Difesa, potremmo contare di più, dopo gli americani, e non sentirci dire che siamo soltanto delle comparse. Come potremmo contare di più in sede Onu se decidessimo di chiedere un seggio unico, per l’Unione europea e non per  un singolo stato, nel club del Consiglio di sicurezza, dove si prendono le uniche decisioni di un organismo, l’Onu, in piena  eutanasia, che invece l’Europa, al lavoro in tutti i cantieri possibili per la pace, potrebbe e dovrebbe rianimare.

Più ridicolo della von der Leyen con l’elmetto in testa c’è solo il presidente francese Emmanuel Macron che una mattina, dopo aver sognato Napoleone, si è svegliato e ha annunciato, come se fossimo già in guerra con l’America e con la Russia, che la Francia mette a disposizione di tutti i paesi europei, il suo potenziale militare nucleare, come ombrello di protezione. Grazie, presidente Macron, ma forse lei avrebbe fatto bene anche a dire in che cosa consiste questo presunto «arsenale nucleare» che, forse è in grado di proteggere una cittadina della Provenza, non certo gli stati dell’Unione europea. La Francia ha 300 testate nucleari, che neanche può spostare con agilità, la Russia ne ha 6mila, più o meno come l’America. Domanda: dove ci avviamo? Per rispondere, entra in gioco il fattore cinismo. A Macron in versione napoleonica, interessa molto poco la pace e la difesa dell’Europa, che sa bene di non poter garantire (è un ragazzo che ha studiato, non un analfabeta), ma la sua popolarità è al minimo storico, e allora perché non provare a risalire nei sondaggi con qualche fake news, al livello di quelle sparate a mitraglia da Donald Trump, sulla immaginaria grandeur militare della Francia, una nazione che nella realtà è perfino più decadente dell’Italia?

 Terzo argomento: l’Europa ha i soldi pe riarmarsi. La presidente della Commissione, con i suoi ispiratori e consiglieri, ha presentato una specie di nota della spesa, come se fosse una casalinga di Voghera, per dire da dove tirerà fuori gli 800 miliardi di euro annunciati con tanta enfasi. Deroghe al patto di stabilità, prestiti, fondi per la coesione, capitali privati, finanziamenti della Bei. A parte l’assoluta precarietà di questa lista, vale la pena ricordare che la spesa militare mai come oggi è costosissima, in quanto legata e intrecciata con la tecnologia. Le super potenze, a partire dall’America e dalla Russia ( già quando era Unione Sovietica) hanno iniziato a spendere e spandere soldi per le armi, sempre più sofisticate, dagli anni Cinquanta, e non hanno mai rallentato questa corsa. La spesa militare in ricerca e sviluppo negli Stati Uniti è pari al 16 per cento, rispetto al 4,5 per cento dell’Italia. Con tutta la fantasia del mondo, moltiplicare per quattro questi investimenti, mentre neanche riusciamo a fare crescere i nostri contributi all’interno del patto della Nato, è semplicemente impossibile. Specie in un momento nel quale servono risorse, e tante, per difendere la più importante, e unica al mondo, conquista dell’Europa nell’era moderna: il nostro Stato sociale (altro che armi!). Alla prova dei fatti i tedeschi, per non parlare soltanto di noi italiani e dei francesi, preferiranno sicuramente finanziare un aumento delle pensioni e il salario minimo a 15 euro (ormai deciso dal patto di governo tra popolari e socialdemocratici) piuttosto che qualche nuovo carrarmato.  Ed è inutile mentire e prendersi in giro: da qualsiasi lato la si prenda, una nuova, imponente spesa per gli armamenti in Europa andrebbe ad incidere in modo determinante sugli investimenti nella sanità, nell’istruzione, nei servizi sociali, in un continente che invecchia come il Giappone e ha un ascensore sociale di fatto bloccato quasi ovunque.

Intanto, sappiamo che tra i potenti ispiratori del Rearm Europe c’è il gruppo delle grandi aziende europee nel settore della Diesa e delle armi (l’italiana Leonardo, le francesi Thales e Dassault Aviation, la britannica Bae Systems e la tedesca Rheinmetall) che, dal giorno dell’invasione dell’Ucraina, non hanno fatto altro che aumentare, con il portafoglio gonfio di soldi, la loro pressante presenza nelle sedi delle istituzioni europee. Soltanto tra il 2022 e il 2023, in un solo anno, il loro budget per l’attività di lobbying a Bruxelles è aumentato del 40 per cento. Soldi ben spesi, dal loro punto di vista, considerando i risultati raggiunti con il muscolare piano Rearme Europe.

Tirando le conclusioni e tornando all’ironia di Crozza, più utile di qualsiasi argomento per demolire il Rearm Europe, di questa chiamata alle armi resta una sola cosa concreta: i regali che andranno fatti alle potenti industrie delle armi dei paesi europei. Il nostro dovere dovrebbe essere tutt’altro, oltre che difendere con i denti i diritti del popolo ucraino, ed evitare che si arrivi a una pace che lo annienti (per il momento non siamo neanche seduti al tavolo dei negoziati, e abbiamo recuperato qualcosa grazie alla sponda della Gran Bretagna, paese europeo,  ma ormai fuori dall’Unione), dovremmo approfittare del «rischio Trump» e del «rischio Putin» per accelerare un’integrazione, ormai indispensabile, almeno nel settore della Difesa. Ma per lavorare per la pace, non sprecare soldi con la sovrapposizione di acquisti militari fatti dai singoli stati e non invece da un unico committente, l’Unione europea. Per costruire un esercito che abbia funzioni e scopi di peacekeeping, a supporto di un’attività diplomatica a tutto campo, non di battaglie perse prima ancora di essere iniziate. Sono obiettivi possibili, concreti, sui quali ci giochiamo un pezzo del nostro futuro come popoli e comunità, e non annunci sparati a salve solo per conquistare consensi

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