I protocolli, qualche volta, possono coprire come un velo l’atmosfera di una festa. Imbrunirla. E ieri ad Acerra i buoni motivi per festeggiare c’erano tutti: dopo otto anni di incertezze e di rinvii e’ stata inaugurata un’opera strategica per il territorio, lo Stato ha fatto sentire la sua autorevolezza, i cittadini hanno capito con quanta rapidita’ si possono ottenere dei risultati concreti quando il sistema regge, e’ saldato dal filo della responsabilita’. Oggi Napoli non e’ piu’ una capitale della vergogna, la citta’ sommersa dalla spazzatura agli angoli delle strade, e domani non sentiremo piu’ dire che anche in altre regioni puo’ finire come in Campania. Presto, molto presto, ci saranno migliaia di famiglie che da quei sacchetti dei rifiuti riceveranno luce e riscaldamento, come avviene in tutto il mondo della modernita’. Un giorno solenne, dunque, di gioia, dopo tanta angoscia e vergogna. Ma chi e’ stato chiamato, giustamente, a celebrare dal palco l’avvenimento? Guido Bertolaso, il super commissario. Massimo Ponzellini (Impregilo) e Giuliano Zuccoli, i rappresentanti delle imprese. Letizia Moratti, la voce di un’amministrazione comunale che ha esportato da Nord a Sud la sua tecnologia, il suo modello. Silvio Berlusconi, il capo del governo che ha fatto del problema dei rifiuti in Campania una priorita’ della sua agenda. Su quel palco non si e’ visto un napoletano, una voce della citta’, del suo popolo. Ecco il velo: la celebrazione di Acerra ha mostrato, accanto all’orgoglio per il traguardo raggiunto, la silenziosa abdicazione di una classe dirigente. L’esproprio, per colpa prima che per i meriti degli altri, della sua funzione, dei suoi diritti-doveri di fronte alla comunita’.
Sarebbe troppo facile, e ipocrita, addebitare il conto di questa sconfitta collettiva tutto sulle spalle della politica che pure ha collezionato una lunga serie di errori. Ad Acerra abbiamo visto un vuoto, una diserzione molto piu’ ampia rispetto al perimetro dei partiti e dei leader che hanno guidato in questi anni gli enti locali grazie a un netto risultato elettorale. Nel giorno della festa abbiamo visto l’eclissi di una pubblica amministrazione, che ha avuto bisogno del pugno di ferro di un commissario; di un ceto imprenditoriale, sempre pronto ad urlare contro il sindaco o il governatore di turno, ma impoverito delle sue attitudini al rischio e all’innovazione; di quei professionisti che sono sempre presenti negli elenchi delle consulenze inutili, distribuite a pioggia, ma non si vedono in campo quando si tratta di progettare il futuro, di guidarlo anche attraverso la forze della competenza. La lezione e’ durissima. E’ come se in un giorno solo, con una sola cerimonia, fosse stata rappresentata tutta la deriva di una societa’ civile che, con la sua assenza, si e’ fatta complice dell’impotenza della politica. Per respirare, con soddisfazione, una brezza di buon governo, abbiamo avuto bisogno di forze, uomini e idee, esterne. Tutte esterne. Per dare il segnale di un’energia, fatta di scelte e di fatica quotidiana nel difenderle, e’ stato necessario ricorrere a una massiccia importazione del capitale umano prima ancora che delle risorse finanziarie.
Quando andai a vedere da vicino il termovalorizzatore di Brescia gestito dalla stessa societa’ che adesso ha in mano le chiavi dell’impianto di Acerra, passai alcuni giorni nelle case e nelle scuole della citta’. E capii come la scommessa con il futuro, con la necessita’ di governarlo, era partita da lontano, da un capillare lavoro, casa per casa, di informazione e di educazione civica. Il terreno era stato preparato con grande anticipo, investendo innanzitutto sulle nuove generazioni. Probabilmente, per riscattarsi da una lezione tanto piu’ amara perche’ incassata nel giorno della festa, Napoli ha bisogno proprio di questo, e chissa’ che, prima o poi, non dovra’ piu’ importare uomini e modelli di buon governo.
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