RIMBORSI AI PARTITI –
Esce dalla porta e rientra dalla finestra. Il finanziamento pubblico ai partiti da almeno dieci anni è una sorta di oggetto misterioso che tutti promettono di cancellare e poi, puntualmente, riescono a resuscitare. Se guardiamo soltanto agli ultimi tre governi il copione si è ripetuto sempre con lo stesso finale. Mario Monti voleva azzerare la voce di spesa, ma si è fermato sulla soglia di una sforbiciata. Enrico Letta, in zona Cesarini, è riuscito a scrivere un tweet con il quale annunciava la fine del finanziamento pubblico. Dal 2017, però. E Matteo Renzi entra in questa recita perché, dopo avere tuonato contro i soldi dello Stato alle forze politiche, adesso è il capo della maggioranza che ieri in Parlamento ha fatto un bel colpo di mano: non solo i contributi elettorali per il 2013-12014 si incassano, ma non servirà alcuna rendicontazione. Il rimborso è a piè di lista.
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COSTO RIMBORSI ELETTORALI –
La conclusione è certificata dalla Corte dei Conti: tra il 1994 e il 2012 i partiti italiani hanno incassato 2 miliardi e 253 milioni di euro di rimborsi elettorali, grazie a 31 tornate elettorali. La cosa davvero singolare è che, in materia di finanziamento pubblico, si scavalca sempre la legge o la volontà popolare, giocando perfino sul tavolo del lessico. Un referendum del lontano 1993 vide gli italiani, di fatto all’unanimità (97 per cento di sì), schierarsi a favore dell’abolizione di qualsiasi forma di finanziamento pubblico ai partiti. E allora si inventò il passaggio dal “finanziamento” sic et simpliciter al “rimborso elettorale”. Con il voto di ieri, invece, la legge è stata aggirata in quanto per la rendicontazione dei bilanci dei partiti è stata prevista perfino una Commissione di garanzia, con tanto di richiamo alla trasparenza, formata da esponenti scelti dalle magistratura, ordinaria e contabile, ovvero Corte dei conti, Consiglio di Stato e Corte di Cassazione. Peccato che questa fantomatica Commissione non abbia toccato palla e da oggi i tesorieri dei partiti possono passare alla cassa per riscuotere i preziosi rimborsi. Con i precedenti che abbiamo visto e letto, parlamentari e consiglieri regionali che con i soldi dei gruppi andavano dal parrucchiere, facevano regali alle amati, compravano le cartucce per andare a caccia e i giocattoli per i figli, dare uno sguardo attento a scontrini e ricevute era proprio il minimo in termini di rinnovamento. Ma non è stato possibile.
RIMBORSI ELETTORALI AI PARTITI POLITICI –
D’altra parte sul tavolo di questa partita ci sono circa 45 milioni di euro da incassare nel corso del 2015, e sono soldi che servono a macchine organizzative sempre più spompate, laddove, in teoria, le elezioni, almeno quelle politiche, ai singoli candidati (quindi ai partiti) non costano nulla, per il semplice fatto che gli eletti sono nominati a monte, ovvero dalle decisioni dei vertici al momento della compilazione delle liste, e non devono affannarsi come avveniva quando esistevano le preferenze. Il meccanismo è stato talmente stravolto che i rimborsi elettorali sono diventati un vero affare per i partiti. Un guadagno puro. Guardiamo i numeri: il Pd per le elezioni del 2013 incasserà complessivamente 23 milioni e 652mila euro, mentre ha speso appena 10milioni, meno della metà. Il Pdl, che tra l’altro non esiste più, ha dichiarato costi elettorali per 12 milioni di euro, ma incasserà 18milioni e 849mila euro; la Lega Nord porta a casa un utile netto di un milione di euro (2,7 milioni di spese con 3,7 milioni di rimborsi) e Sinistra Ecologia e Libertà, avendo fatto una campagna low cost, 859mila euro, si ritrova con la cassa piena grazie a un assegno di oltre 2 milioni di euro. La cuccagna si allarga perfino sulle liste civetta, ovvero formazioni politiche messe in piedi durante le elezioni per rafforzare la candidatura di un candidato. La lista Il Megafono del governatore siciliano Rosario Crocetta ha rendicontato spese elettorali per 23mila euro, ma riceverà rimborsi per 256mila euro. A chi andranno? Saranno una sorta di premio per i candidati che hanno spalleggiato il governatore? Mistero.
SOLDI AI PARTITI ITALIANI –
A forza di rimborsi elettorali, i partiti, che intanto hanno messo in cassa integrazione centinaia di persone, si sono ritrovati con solidi patrimoni. Anche quando sono scomparsi. Al momento della liquidazione della Margherita, affidata alle cure del tesoriere-giocoliere Luigi Lusi, nelle casse del partito risultavano 20 milioni di euro in contanti. La Fondazione di Alleanza nazionale, con i suoi parlamentari in gran parte usciti dalla scena politica e non rieletti, ha un patrimonio vicino ai 100 milioni di euro. Che ne farà mai? E il moralizzatore Antonio Di Pietro, prima di scomparire politicamente per volontà del popolo elettore, è riuscito, come partito Italia dei Valori, ad accumulare un patrimonio di 42,33 milioni di euro.
Ora, di fronte a fatti e numeri, servirebbe un minimo di onestà intellettuale. Eliminare il finanziamento pubblico, in Italia, è una sciocchezza demagogica: significherebbe lasciare la politica solo nelle mani di lor signori. Non siamo in America, dove la politica è finanziata solo dai cittadini e dalle aziende, ma una cosa è salvaguardare una presenza pubblica, in termini di risorse, nella lotta politica, altra cosa è sfilarsi, con un colpo di mano nell’aula parlamentare, dal più banale degli obblighi per chi chiede un rimborso: dimostrare che lo scontrino consegnato riguardi una spesa corretta e non una piccola o grande truffa.
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