Danni della solitudine: dalla morte all’obesità

Non c'è solo il rischio depressione: vengono colpiti anche il cuore e il cervello. Aumentano i rischi di infarto e di ictus. Diminuiscono le funzioni cognitive

danni della solitudine
Quanto fa male la solitudine! Tra gli effetti collaterali della pandemia c’è anche la scoperta disarmante di come stare da soli comporti una serie di danni che poche patologie mettono insieme. E purtroppo i numeri ci segnalano un fenomeno in vertiginoso aumento, con una vera trasversalità sul piano generazionale. Le stime americane segnalano che, dopo il lockdown, negli Stati Uniti oltre il 40 per cento delle persone adulte si sentono sole. In Europa la percentuale di giovani tra i 18 e i 25 anni che dicono di sentirsi soli, dopo la pandemia, è quadruplicata. Il 55 per cento degli italiani, un popolo abituato alle relazioni sul territorio, alla densità della vita sociale, afferma di soffrire di solitudine. E la percentuale più alta, il 32 per cento è nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni.
La solitudine, e non solo per effetto del coronavirus, si è così trasformata in un problema di salute pubblica. In Europa, secondo i dati pubblicati dal British Medical Journal, a sentirsi più soli sono gli abitanti dell’est (7,5 per cento dei giovani adulti, 9,6 per cento degli adulti di mezza età, 21,3 per cento degli anziani), mentre i nord europei sono meno soli (2,9 per cento dei giovani adulti, 2,7 per cento degli adulti di mezza età, 5,2 per cento degli anziani).
Un vero dolore fisico, molto più di un malessere. L’ultima ricerca sugli effetti della solitudine, pubblicata da psichiatri e cardiologhi tedeschi che hanno studiato oltre 15mila persone tra i 35 e i 74 anni, conferma una lunga sequenza di studi sugli effetti collaterali del sentirsi soli. Aumentano i rischi cardiovascolari, salgono lo stress e l’ansia, e perfino i livelli della pressione possono risentirne. Dunque, la solitudine è una vera patologia, che il boom della rivoluzione tecnologica ha perfino aggravato. Viviamo tutti più connessi, ma più soli.
L’uomo è un animale sociale e in quanto tale ha bisogno di interagire e di trovare il proprio posto all’interno della comunità. Per questo quando non ci riesce entra in crisi, mettendo in discussione tutto il proprio mondo. Eppure la solitudine non viene ancora considerata come dovrebbe: ossia un male pericoloso. Ci sforziamo di combattere il fumo, l’alcol e la droga, per i mali fisici e mentali che ci producono. Giusto. Ma trascuriamo i rimedi contro il male oscuro della solitudine che in realtà non colpisce solo le persone più anziane, ma sta esplodendo anche tra i giovani. È il destino dell’uomo contemporaneo: la tecnologia dovrebbe avvicinarci, grazie ai suoi effetti moltiplicatori in termini di «Rete», ma in realtà tutte le statistiche ci segnalano sempre più soli. Da piccoli, con i ragazzi chiusi nelle loro tribù, e da grandi con gli anziani che sentono la vita allungarsi ma i rapporti umani rarefarsi.
Mi ha colpito un’inchiesta del quotidiano inglese The Guardian che segnala come ormai in Gran Bretagna la solitudine sia diventata un problema per il sistema sanitario nazionale, anche perché chi ne soffre ha il 14 per cento di possibilità in più di pensare al suicidio rispetto agli altri. Una vera emergenza, e non solo per gli anziani. L’ultimo Rapporto delle amministrazioni locali la descrive come la prima priorità dei governi locali. E arriva anche a quantificare i rischi per salute, paragonandoli a quelli legati al fumo. In pratica: essere soli è peggio che fumare più 15 sigarette al giorno. Quasi un pacchetto.

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Da una ricerca di alcuni scienziati della Western Norway University of Applied Sciences su un campione di 24 mila persone è venuto fuori che la solitudine aumenta, e non di poco, il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2. I motivi del legame tra la solitudine e il diabete sono ancora oggetto di studio. Una prima ipotesi è legata al fatto che sentirsi soli crea uno stato di stress cronico, che a sua volta si traduce in una risposta immunitaria dell’organismo: cresce la produzione dell’ormone cortisolo e come conseguenza diminuisce la capacità delle cellule di rispondere all’insulina. Una seconda ipotesi è ancora più semplice: chi è solo, si lascia tentare più facilmente da cibi grassi e ricchi di zuccheri. Lo studio è molto importante anche perché il diabete causa oltre un milione di morti all’anno ed è la nona causa di mortalità sulla Terra.

Con la solitudine il cuore soffre. Non solo in senso metaforico. Gli ultimi studi su malati ospedalizzati per insufficienza cardiaca, dicono che le persone dimesse, costrette a vivere lontano dalla famiglia, dagli amici e dagli affetti, cioè in solitudine, hanno un rischio di ricadute e di morire di infarto pari a due volte in più rispetto a che ha una vita sociale attiva. Chi soffre di “solitudine cronica”, secondo uno studio della Florida State University,  ha maggiori probabilità di contrarre infiammazioni, anche all’apparato cardiovascolare. oltre al banale, ma pure significativo, pericolo di dimenticarsi di prendere pillole vitali. A partire da quelle che proteggono il cuore.
Lo studio più completo sul rapporto tra la solitudine e la mortalità è stato realizzato da un gruppo di psicologi dell’università americana di Provo e pubblicato sulla rivista Perspective on Psychological Science. In pratica, secondo questa ricerca, la solitudine aumenta il rischio della morte precoce come l’obesità e il fumo. L’effetto tossico della solitudine è equiparato al fumo di 15 sigarette al giorno. L’avvertimento è chiaro: la solitudine accorcia la vita.
Una meta-analisi realizzata da un gruppo di scienziati dell’università di York, nel Regno Unito, condotta su 23 studi longitudinali che hanno coinvolto 180 mila persone, mette in fila i danni psico-fisici delle solitudine. La malattia che porta allo spreco della salute e in qualche caso della vita con una impressionante catena di effetti collaterali. Il cuore funziona peggio, e aumentano i rischi di malattie cardiovascolari. Aumentano deficit cognitivi e perdita di memoria. Arriva l’obesità e il sistema immunitario peggiora.

Ogni solitudine ha una sua storia, un volto, un racconto, una parabola della vita. Un dolore. E ogni solitudine andrebbe affrontata in quanto tale, una alla volta. C’è la solitudine del dolore, della mancanza, del lutto, e della perdita. Forse quella più facile da vincere. E c’è la solitudine della povertà o dell’impoverimento, di una vita difficile che deve troppo arrampicarsi sulle montagne per scansare gli stenti, le fatiche, le difficoltà. E c’è anche la solitudine di chi sente di non avere le forze per farcela, e si rassegna all’isolamento.

E se ogni solitudine è diversa dall’altra, anche i modi per combatterla devono essere diversi. Con alcuni elementi di fondo, uguali per tutte le forme di solitudine. Abbiamo bisogno di più rapporti reali, e meno virtuali. La solitudine non si vince certo prendendo amici in affitto a 28 dollari all’ora come propongono alcune società in Giappone. Servono incontri, relazioni, convivialità, condivisione. Sembrano i punti della bussola della retorica, ma in realtà sono tanti sentieri che portano, o possono portare, all’uscita dalla solitudine. E per chi si sente solo in base alla sua condizione sociale e al suo impoverimento, serve una spinta dal basso che non può arrivare soltanto dalla generosa rete della solidarietà. La solitudine che nasce dall’ingiustizia sociale, si vince con buone scuole, buoni asili, buone occasioni di lavoro. Per tutti, e non per i soliti noti.

 La cause della solitudine sono tante. Ma uno studio pubblicato su PloseOne ha messo in rilievo l’esistenza di una differenza importante tra gli uomini e le donne. Per gli uomini tra i fattori della solitudine ai primi posti c’è la disoccupazione; mentre per le donne pesa la povertà. Uomini e donne, invece, condividono come fattori importanti che spingono le persone a vivere in solitudine la mancanza di affetti, l’assenza di una famiglia e dei figli, l’essere separati o divorziati.

Nel 2050 l’Italia sarà il terzo Paese più anziano del mondo, dopo il Giappone e la Spagna. Ma senza arrivare a quella data, secondo i dati dell’Istat il 30 per cento degli italiani che hanno più di 75 anni (la nuova soglia dopo la quale, secondo i geriatri, inizia la vecchiaia) non hanno nessuna persona da chiamare in caso di bisogno. Sono soli, completamente soli. E l’11 per cento degli italiani degli italiani over 75 dicono di poter contare soltanto sull’aiuto dei vicini di casa.

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