Due amici da sempre, la stessa cittadina, due percorsi diversi, una missione in comune: salvare la biodiversità lottando contro la “monotonia alimentare”.
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SALVARE I SEMI ANTICHI
Per questo, ogni pomeriggio, Angelo Giordano e Valerio Tanzarella, quarant’anni e amici di infanzia, salgono in auto e si dirigono verso l’orto che hanno deciso di curare, nei pressi di Ceglie Messapica, uno tra i borghi più antichi della Puglia salentina, terra di olivi secolari e grotte carsiche.
La terra di cui si prendono cura dal 2012, in realtà, è molto più di un orto, è il sogno di far rivivere la tradizione agricola, portando il passato nel presente e combattendo la monotonia dei cibi tutti uguali: 20 varietà di melanzane, 200 di peperoncini e peperoni, 30 di patate, 15 di piselli, 15 di taccole, 30 di fave, 10 di ceci, 100 di meloni e poi zucche, un vitigno composto da quasi 20 varietà di uva diverse, 30 di patate e 1200 di pomodori. Il paradiso della biodiversità che i due hanno deciso con convinzione di voler preservare, a tutti i costi, diventando fornitori anche di grandi chef e firme dell’alta cucina italiana. Una battaglia senza tregua alle grandi multinazionali dei semi sterili, come Monsanto o Syngenta, che li porta a fare spesso visita ai contadini anziani che ancora coltivano frutta e verdura “tradizionale”. Come raccontano in un’intervista al Corriere della Sera: «Pressoché ogni giorno ci mettiamo in macchina e andiamo a trovare anziani contadini della Valle d’Itria e non solo, cercando di convincerli a darci i loro semi».
Semi antichi, tradizionali, scartati dalle multinazionali perché non inseriti nella lista delle varietà di produzione su scala, quelle capaci di produrre di più al minor costo possibile. Il risultato dell’equazione è una sempre maggiore banalizzazione e monotonia in ciò che mettiamo nel piatto, ed è anche uno dei campi su cui si giocherà la partita del cibo del futuro.
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ANGELO E VALERIO, I CUSTODI DEI SEMI
In sintesi, mangiano sempre le stesse cose, anche se non ce ne accorgiamo, perché la filiera dell’ortofrutticolo non funziona in modo tanto diverso dai una qualsiasi catena di montaggio: chi vuole produrre passata di pomodoro deve consultare un’apposita lista di brevetti, e l’azienda che ha registrato il brevetto di una varietà, di solito fornisce il pacchetto completo, fatto di semi, pesticidi e ausili per la coltivazione, a costi accessibilissimi. All’apparenza, dunque, questa monotonia conviene, ma nella realtà dei fatti la conseguenza è la perdita di quelle varietà di frutta e verdura che non rendono commercialmente ma che, invece, ci nutrono meglio. Come il il gaghiubbo, un melone selvatico che non ha bisogno nemmeno dell’acqua per vivere, è altamente nutriente e profumatissimo. O come un pomodoro scuro, che Valerio e Angelo stanno sperimentando e che ha ricevuto l’attenzione del professor Veronesi per le sue proprietà antitumorali. Il lavoro dei due amici, uno agronomo e l’altro avvocato, fornisce materie prime a chef e cuochi dei ristoranti nonché consulenze agronomiche alle aziende che vogliano trasformare i loro prodotti, attraverso la loro azienda ExTerra. Alla base di tutto, comunque, dicono nella stessa intervista: «C’è il desiderio di promuovere un tipo diverso di agricoltura senza pesticidi né concimi chimici, far conoscere questa o quell’altra varietà, attraverso canali alternativi. O i festival».
(Immagine in evidenza tratta dal Corriere della Sera // Photocredits: Corriere della Sera)
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