L’Europa che non c’è continua a fare vittime. Il Fondo sociale europeo è a secco, come ha denunciato qualche giorno fa il presidente delle commissione Bilancio del Parlamento europeo, il francese Alain Lamassoure, e adesso apprendiamo che tra i programmi che rischiano di saltare per mancanza di fondi c’è l’Erasmus. Introdotto nel 1987, l’Erasmus è stato un grande volano, per centinaia di migliaia di studenti europei, per conoscere altri paesi dell’Unione e formarsi attraverso studi incrociati. Un meccanismo semplice quanto efficace: lo studente ammesso al programma può frequentare corsi universitari in altri paesi dell’Unione, per un periodo da 2 a 12 mesi, e fare esami poi riconosciuti dalla propria facoltà.
Un’ autentica spinta, dal basso, all’integrazione. E anche una fondamentale opportunità per i giovani di allargare competenze, conoscenze, apprendimenti, innanzitutto di natura linguistica. Per gli italiani, in particolare, in questi 25 anni l’Erasmus ha significato la possibilità di studiare all’estero (una possibilità, di solito, riconosciuta solo alle famiglie benestanti), di conoscere gli stili di vita degli altri cittadini europei, di rompere il cordone ombelicale con le proprie famiglie, dove spesso si resta fino alla soglia dei 40 anni e si esce solo per sposarsi. Se c’è stato un terreno sul quale l’integrazione europea non si è ridotta a una chimera, è stato proprio quello della formazione universitaria, grazie allo sforzo condiviso per finanziare il progetto Erasmus. Non a caso, in questo momento abbiamo circa 25mila ragazzi italiani, in gran parte meridionali, che studiano in altre città europee (al programma partecipano 4mila istituzioni universitarie e 31 paesi) e 20mila studenti europei che invece frequentano corsi in Italia.
E’ una piccola finestra sull’Europa unita di domani, a prescindere dalla moneta unica e dai mercati. Sarebbe imperdonabile se i governi europei, che tirano fuori soldi continuamente per salvare bilanci disastrati di banche e stati, non riuscissero a trovare i fondi per evitare la liquidazione dell’Erasmus. Non si vive di solo spread, e non si possono enunciare grandi ambizioni sul terreno della formazione, per poi mandare alla deriva l’unico, vero e grande progetto di integrazione che al momento funziona nel perimetro dell’Unione. E il governo italiano, anche grazie all’autorevolezza internazionale riconquistata, dovrebbe fare della difesa dell’Erasmus una battaglia non negoziabile: siamo tra i più interessati a un’integrazione che parte dal basso, dalle nuove generazioni, dopo che le vecchie si sono fermate alla moneta unica e alla sue contraddizioni. Salvare l’Erasmus è un dovere per gli interessi nazionali dei singoli stati e per l’Europa, anche se quella che abbiamo costruito finora esiste soltanto sulla carta.
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