Scempio e sprechi a Pompei: ma qualcuno può fermare il sindacato?

Il metodo è sempre lo stesso: proteste selvagge che bloccano gli scavi. Migliaia di turisti inferociti e l’Italia che fa una pessima figura nel mondo. Il ministro non può cavarsela con il lamento di un twitter.

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SCIOPERO SCAVI DI POMPEI – Non esiste luogo in Italia che rappresenti meglio di Pompei la morte del sindacato. Anzi: il suo suicidio. In questi giorni si ripete il solito copione che da anni, da decenni, va in onda negli scavi archeologici più importanti del mondo, quelli che ogni governo giura di rilanciare e di considerare una risorsa essenziale per il Paese. Un sindacalismo selvaggio, corporativo, indifferente a qualsiasi regola elementare di relazioni tra le parti sociali, paralizza gli scavi, lasciando migliaia di turisti fuori dalle porte del sito, imponendo l’interruzione degli ingressi dei visitatori con una gragnuola di assemblee. Micidiali come uno sciopero sul piano degli effetti, con la sola differenza che nessuno perde un euro in busta paga.

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LA PROTESTA E I DISSERVIZI PER I TURISTI – Gli argomenti di queste rivendicazioni sono spesso pretestuosi e contraddittori, come nel caso dell’ultima protesta. I sindacati contestano nuove assunzioni (ma non le avevano sempre chieste?), 78 già fatte e 75 in arrivo entro la fine dell’anno, e urlano contro i nuovi turni di lavoro per la vigilanza che dovrebbero essere discussi in un incontro con il soprintendente Massimo Osanna già fissato per il prossimo 19 novembre. Siamo, dunque, allo sciopero preventivo e alla lotta contro il lavoro: una somma di assurdità. Tutto con metodi archeologici, l’aggettivo è pertinente al luogo, incomprensibili al cittadino comune, a qualsiasi persona fornita di buonsenso. E di fronte a questo scempio di un diritto sacrosanto, a una distorsione così evidente del proprio ruolo, il sindacato nazionale, che soffre per una caduta verticale di credibilità e di consensi ,pensa bene di  tacere, senza mai prendere le distanze da un ribellismo senza regole. Un silenzio che, di fatto, significa condivisione del “metodo Pompei” laddove bisognerebbe avere il coraggio di alzare la voce innanzitutto per difendere la propria immagine. Un sindacato che chiede rispetto e riconoscimento, e su questi punti contesta il capo del governo, non può ignorare, come se il problema non riguardasse la rappresentanza, la deriva corporativa in scena agli scavi e in diversi luoghi-simbolo del nostro patrimonio culturale. Il Colosseo, per esempio,  gareggia con Pompei in quanto a tasso di protesta strisciante, immotivata e priva di un minimo di rispetto per i visitatori.

CONTESTAZIONI AGLI SCAVI DI POMPEI: GLI SPRECHI PER IL TURISMO ITALIANO – E francamente una parola in più, chiara e forte, l’aspettiamo anche dal ministro dei Beni Culturali e del Turismo. Ieri Dario Franceschini ha manifestato, attraverso un messaggino su Twitter, la sua indignazione, scrivendo che le anomale contestazioni di Pompei si traducono in «un danno incalcolabile per l’Italia». Ottimo commento, e anche efficace sintesi. Ma il ministro non è un opinionista via web, e se c’è un «danno incalcolabile» il governo ha il dovere di intervenire, nella sua collegialità e con la sua autorevolezza, per evitarlo. Gli strumenti non mancano, a partire dalla precettazione, e in ogni caso non è possibile alzare le mani in segno di resa e lasciare gli scavi chiusi per giorni in seguito alla convocazione di assemblee sindacali. Una volta per tutte questo rito bisognerà interromperlo e Pompei non dovrà essere più in ostaggio di un sindacalismo fuori dal tempo, dalla storia. E dalla legge.

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