Come è scomparso il lago d’Aral

Era il terzo più grande del mondo. Adesso è un deserto, dove si scatenano tempeste di sabbia e polvere

lago daral

Era il terzo lago più grande del mondo, adesso è un gigantesco deserto, dove si scatenano frequentemente tempeste di sabbia e di polvere. La storia del lago d’Aral, un bacino senza emissari al confine tra Kazakistan e Uzbekistan, è un caso esemplare di distruzione ambientale, firmata dalla mano dell’uomo, con una serie di effetti a catena. Uno peggiore dell’altro.

Il lago d’Aral, salato e di origine vulcanica, copriva una superficie di 68 mila chilometriquadrati, con una profondità media di 8,2 metri e massima di 42 metri: nella lingua locale aral significa isola, e nel corso della sua vita, lunga più di 5 milioni di anni, il lago ne ha contate 1.100. Della superficie iniziale restano solo 20 mila metri quadrati, tutto il resto, nel corso di un processo iniziato negli anni Sessanta, si è trasformato nel deserto do Aralkum.

Il fattore scatenante della desertificazione del lago è dovuto alla deviazione delle acque dei fiumi Amu Darya e Syr Darya, i suoi due emissari, per irrigare i campi di cotone e altre colture. Inoltre, la produzione intensiva del cotone viene fatta a base di diserbanti chimici che hanno inquinato il terreno e contaminato le acque del lago, contribuendo così al suo svuotamento, anche perché non ci sono più gli emissari dai quali era possibile far defluire l’acqua. La dissennata operazione che ha portato alla scomparsa del lago aveva la finalità di mettere la produzione del cotone al centro dell’economia uzbeka, obiettivo poi raggiunto visto che l’Uzbekistan, con 50 chilogrammi di cotone pro-capite, è il secondo paese produttore al mondo, dopo gli Stati Uniti. Ma il prezzo pagato, in termini di disastro ambientale, è stato altissimo.

Il primo effetto disastroso della scomparsa del lago d’Aral è che in quest’area adesso si ripetono tempeste di sabbia e di polvere, con nubi tossiche che avvelenano la vita delle popolazioni locali. In secondo luogo, l’intero ecosistema marino è andato in pezzi, con la scomparsa di 21 specie di pesci, e con una crisi economica che ha coinvolto i 40 mila abitanti dei villaggi circostanti, addetti alle attività della pesca. Terzo effetto: la crisi climatica. Il lago temperava il clima, stabile per tutto l’anno: adesso si passa da un meno 35 gradi in inverno fino a un massimo di 50 gradi in estate. Infine, in una delle isole del lago si trova la riserva naturale di Barsa Kelmes, dove centinaia di specie animali e vegetali sono diventate a rischio. Gli unici provvedimenti, di efficacia molto limitata, finora presi dalle autorità locali, sono stati una riforestazione della riserva naturale, piantando il saxaul nero, un arbusto locale, e la costruzione di una diga nella parte settentrionale del lago, per trattenere le acque del fiume Syr Daya. 

Quanto alla produzione intensiva del cotone, avviene anche attraverso lo schiavismo minorile: ogni autunno, migliaia di bambini abbandonano le scuole per lavorare nelle piantagioni con una paga di 10 centesimi di dollaro per ogni chilo di cotone raccolto. Oggi, mentre il deserto d’Aral è una meta turistica con migliaia di persone che ogni giorno scattano immagini con lo smartphone di ciò che resta delle barche che un tempo erano ormeggiate nel porto del Lago d’Aral, l’unica speranza di cambiamento arriva dai progetti internazionali. L’obiettivo è bonificare l’area, migliorare la gestione delle risorse idriche e promuovere una nuova economia verde.

Nell’immagine di copertina la trasformazione del lago tra il 1989 e il 2014 – Fonte: Wikipedia

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