Ci sono voluti più di otto anni, con alti bassi, sconfitte e vittorie, ma alla fine il risultato è arrivato: un gruppo di studiosi, tutti italiani, ha scoperto un nuovo gene che causa l’Alzheimer. Si tratta di una mutazione genetica, difficilissima da individuare (“è stato come trovare un ago nel pagliaio” hanno detto gli autori della ricerca), individuata da un gruppo di esperti coordinato dall’ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza di Torino e dall’Università di Torino, a cui hanno collaborato anche le Università di Pavia e di Milano. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica internazionale “Alzheimer’s Research & Therapy”, indica un nuovo gene, il ‘Grin2C’, coinvolto in modo determinante nella malattia di Alzheimer in età senile, che codifica per una subunità del recettore Nmda del glutammato, recettore importante nei processi della memoria sia breve che a lungo termine. Inoltre è stato possibile dimostrare gli effetti che questa mutazione provoca in modelli cellulari incrementando l’eccitabilità neuronale ed alterando il legame di questa proteina con altre proteine neuronali.
Commenta Innocenzo Rainero, direttore del Centro Alzheimer e demenze correlate dell’ospedale Molinette e dell’Università di Torino. «Ad oggi erano note rare mutazioni nei geni Psen1, Psen2 e App, quali causa di malattia di Alzheimer, principalmente in età presenile. Adesso sappiamo che anche Grin2C è una causa possibile dell’Alzheimer».
Quali potrebbero essere le conseguenze a breve scadenza di questa straordinaria scoperta dei neuroscienziati italiani? Sicuramente consente di avere più strumenti sia per la terapia sia per la prevenzione di una malattia diventata uno dei principali problemi, a livello sanitario, in tutto il mondo, dove ormai si contano 55 milioni di persone colpite dall’Alzheimer. In Italia sono circa 600 mila persone, e solo 2 pazienti su 10 ricevono diagnosi precoce. La scoperta del gene Grin2C consentirebbe proprio questo: una diagnosi precoce e quindi un netto aumento delle probabilità ci contenere e convivere a lungo con l’Alzheimer, senza che degeneri.
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