Daniela Pizzagalli
Il successo mondiale del libro è rivelatore: c’è sotto un collettivo senso di colpa degli adulti che, in corsa per la carriera, trascurano gli anziani genitori rinunciando al benefico calore degli affetti familiari. «Il mio libro è fortemente emblematico – spiega l’autrice – quando scrivo "la mamma è scomparsa" intendo dire che è scomparso tutto un sistema di vita basato sulla cura degli altri, sul sacrificio altruistico, sul calore dei sentimenti. Il mio è un messaggio che può essere applicato sia a livello psicologico, relativo alle difficoltà delle comunicazioni interpersonali, sia a livello sociale, come disgregazione dei sistemi comunitari». Nel romanzo, la madre scomparsa è una contadina settantenne che, in visita ai figli a Seul, non fa in tempo a salire con il marito sulla metropolitana e si perde tra la folla. Non chiede aiuto perché è in stato confusionale: soffre di Alzheimer e nessuno dei familiari se ne è accorto, perché né il marito né i quattro figli le prestano abbastanza attenzione, abituati come sono a ricevere, come fosse tutto dovuto, le attenzioni di lei.
Anche la malattia assume un significato emblematico, perché si sviluppa in un quadro di mancato riconoscimento della persona?«Sì, sono convinta che l’Alzheimer fosse meno diffuso quando nelle famiglie diverse generazioni vivevano insieme e c’era una costante comunicazione. Oggi la tecnologia permette di comunicare a distanza, ma non è la stessa cosa. Si tratta di comunicazioni frettolose, che danno per scontati i sentimenti senza soffermarsi a manifestarli. È una gravissima perdita». Nel romanzo si alternano tre voci, a descrivere l’inutile ricerca e a ripercorrere a ritroso la vita con la madre: la ribelle figlia scrittrice, il prediletto figlio maggiore, il marito autoritario. Ciascuno di loro ha una diversa immagine della donna scomparsa e quando alla fine sentiamo la voce di lei, risulta evidente che nessuno di loro l’ha mai conosciuta veramente.
«Sono tre personaggi, ma attraverso di loro volevo descrivere tre diverse relazioni: tra madre e figlio, tra madre e figlia e tra marito e moglie. La personalità di una donna non si esaurisce nei ruoli che assume via via nella vita, eppure tutti quelli che le stanno intorno la considerano solo in funzione di se stessi. Volevo indurre i lettori a porsi la domanda: conosco davvero mia madre, mio padre? Cosa posso fare per conoscerli meglio, fin che sono in tempo? Per lo stesso motivo non racconto esplicitamente che cosa è successo a quella donna, perché la letteratura, secondo me, non deve offrire risposte ma stimolare la curiosità e le riflessioni di chi legge». Colpisce la bellissima scena finale in piazza San Pietro, quando la figlia scrittrice ricorda il desiderio della madre di avere un rosario in legno di rosa comprato «nello stato più piccolo del mondo» e comprende di essere stata guidata fino lì dall’affiorare di un sentimento profondo.
«Ho realmente fatto un viaggio in Italia, prima dell’ultima revisione del romanzo, e nella basilica di San Pietro sono rimasta letteralmente inebetita di fronte alla bellezza suprema della Pietà di Michelangelo. Mi è sembrato di vedere rappresentato nel marmo proprio quel sentimento di compassione, di protezione, che volevo suggerire con il mio libro: ho percepito il potere universale dell’arte. Tornata a casa, ho aggiunto l’epilogo con la scena della visita a Roma e ho davvero comprato un rosario per mia madre, anche se non me l’aveva chiesto. È stata molto contenta, perché è una cattolica osservante, come la madre del romanzo. In Corea il cattolicesimo è la religione più diffusa, insieme ad altre confessioni cristiane protestanti. Il cristianesimo è praticato in Corea dall’800, e ha del tutto soppiantato le antiche religioni tradizionali. Anche questo aspetto contribuisce a rendere la Corea del sud un Paese del tutto occidentalizzato».
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