SHARING ECONOMY –
Parola d’ordine: condividere. Ovvero meno possesso e più risparmi. Il 2015 sarà l’anno nel quale la sharing economy esploderà, come titola in copertina il settimanale Time, come risposta dal basso alla Grande Crisi ma anche come nuovo paradigma del capitalismo postconsumista. Giustamente l’Istat, aggiornando il paniere del costo della vita, ha inserito alcuni servizi offerti dall’economia condivisa, a partire da quelli che riguardano la mobilità urbana. A Milano, per fare un esempio, sono ormai 200mila i cittadini che hanno rinunciato all’uso dell’auto privata per gli spostamenti nel centro urbano e utilizzano regolarmente car, bike e moto sharing. Risparmiano, riducono lo spreco (un auto privata viene usata, in media 11 minuti al giorno, con lo sharing si sale a un’ora) e contribuiscono a migliorare l’ambiente della città.
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ECONOMIA CONDIVISA PER COMBATTERE CRISI ECONOMICA –
Il taglio dei costi nei budget familiari è la prima leva della sharing economy, che si accompagna ai mutamenti sostanziali degli stili di vita. L’88 per cento degli italiani hanno modificato le abitudini di consumo e, grazie alle piattaforme messe in campo da internet, la spesa online rappresenta già un giro d’affari di 132 milioni di euro. Con un moltiplicazione, attraverso la condivisione, delle modalità di acquisto. Si passa così dai circa tremila Gas (gruppi di acquisto solidali) alle offerte di prodotti freschi da parte dei commercianti, a fine giornata, con sconti fino all’80 per cento: l’applicazione Last minute Sottocasa segnala ai suoi ventimila iscritti i prodotti che si possono acquistare in serata a prezzi di saldo. In un negozio o in un supermercato a due passi dalla propria residenza. E perfino per i consumi energetici, gas e corrente elettrica, sono nati i gruppi di acquisto all’insegna del titolo Abbassa la bolletta. Presentandosi insieme sul mercato, più di trentamila famiglie hanno ottenuto le forniture energetiche con lo sconto e con un risparmio medio di 250 euro l’anno. Non male in tempi di Grande Crisi.
I PORTALI PER LA SHARING ECONOMY –
La sharing economy nel mondo anglosassone, dove viene declinata come un segmento strategico del nuovo modello di sviluppo, si è già tradotta in grandi affari e grandi profitti. Ogni giorno ci sono 400mila utenti di Airbnb, il portale che mette in contatto le persone in cerca di alloggio o di una camera per brevi periodi, che chiudono un affitto e il valore della piattaforma è stimato a quota 13 miliardi di dollari, mentre Uber, l’applicazione per prenotare l’auto in città, è schizzata a 40 miliardi di dollari. Dietro questi nomi ci sono i colossi dell’industria tecnologica americana, e dunque nuovi monopoli, ma l’economia della condivisione ha anche sparigliato il tavolo del lavoro autonomo. Dietro la sigla online Loconomics lavorano migliaia di professionisti e di artigiani che condividono l’offerta di servizi a buon mercato e in tempi certi. Il cliente trova finalmente l’idraulico per il bagno che scorre, l’animatore per la festa della figlia, l’insegnante per le ripetizioni a casa, l’inserviente per la pulizia dell’ufficio, l’assistenza per il dog sitter.
Nuova mobilità, nuovi consumi, nuovi servizi. E anche nuove relazione sociali, e un ritorno alla voglia di comunità, di un noi, dopo decenni di dominazione dell’individualismo sfrenato e dell’io e solo io. In ogni paese c’è un servizio di carpooling , condivisione di auto per i viaggi: dal francese BlaBlacar all’italiano Carpooling.it, pronti a offrire un passaggio a prezzi modici. Un ritorno, in chiave web, del vecchio autostop. Nell’Italia delle quotidiane risse tra vicini di casa si stanno moltiplicando, a Milano, a Bologna, a Torino, i servizi del condominio condiviso: non si ha in comune soltanto la manutenzione del palazzo, ma anche la badante per il nonno o la baby sitter per il nipote. E condividere in questo caso significa innanzitutto smettere di litigare e tornare a stare insieme. Come nel caso degli orti condivisi, fazzoletti di verde, giardini e terreni, affidati dalle amministrazioni comunali a gruppi di cittadini: a Roma l’associazione Zappata romana ne ha censiti ben 154. O come nel caso del coworking, che si traduce nello spazio comune dove si lavora e magari si mescolano le competenze: l’ultima creatura è nata a Matera, si chiama Casa Netural, e mette a disposizione 70 metri quadrati di open space, nella zona dei Sassi, per i giovani che avviano un’attività in proprio e la condividono tra coetanei.
I GIOVANI E L’ECONOMIA CONDIVISA –
Già, i giovani. La sharing economy, con i suoi riti, è un abito su misura per le nuove generazioni dei Millennials, i ragazzi nati tra gli anni Ottanta e il 2000, la cui stella popolare è Internet e tutte le opportunità che offre. Il loro approccio con i consumi è completamente rovesciato rispetto alla febbre compulsiva degli anni precedenti alla Grande Crisi: i Millennials, che nel 2020 saranno un quarto della popolazione italiana, sono sempre a caccia di buone occasioni, detestano gli sprechi e hanno maturato un’idea di difesa dell’ambiente non ideologica, ma pragmatica. Fanno di necessità virtù, e rispetto ai loro genitori hanno capito che le rivoluzioni, come quella della sharing economy, si possono fare anche senza l’uso della violenza.
PER APPROFONDIRE: Social street, dove i vicini di casa si aiutano tra di loro e condividono insieme conoscenze ed esperienze
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