Shein e Temu: perché non comprare sulle piattaforme cinesi

Prodotti scadenti. E talvolta considerati tossici. Con alle spalle il lavoro da moderno schiavismo. Ci sono almeno 10 buoni motivi per non fare acquisti con i colossi della fast fashion

SHEIN E TEMU scaled

Le inchieste, le denunce, e anche le analisi scientifiche si moltiplicano in tutta Europa, e al momento abbiamo una certezza: dovremmo tutti evitare di acquistare prodotti dalle piattaforme cinesi dei due colossi mondiali della fast fashion, Shein e Temu. Per almeno 10 buoni motivi che vanno dalla scarsa qualità dei prodotti, dal rischio della loro tossicità, e innanzitutto dalle condizioni schiaviste con le quali vengono realizzati. 

 

  • La Grande Bugia. I cataloghi di Shein e Temu sono sterminati e i prezzi dei capi sono davvero low-low-cost, anche se Donald Tang, presidente di Shein, ha la faccia tosta di non perdere ogni occasione per dire che «non è un’azienda della fast fashion» (una furbata per provare a sfilarsi da tutte le accuse che avvolgono il sistema della fast fashion) e il suo successo si deve a un modello di produzione on-demand, focalizzato sull’innovazione tecnologica e sull’intelligenza artificiale. Non ci sono cifre ufficiali, ma il fatturato di Shein è valutato attorno a una somma pari agli incassi sommati di Zara e H&M, altri due colossi globali della fast fashion
  • Prodotti tossici. La presenza massiccia di materiali tossici nei prodotti di Shein e temu è stata denunciata già da diversi anni. il sito tedesco Oko-Test ha realizzato una prova molto significativa. I suoi redattori hanno ordinato 21 prodotti del catalogo Shein, come se fossero dei normali clienti, poi li hanno affidati al laboratorio di analisi per tirare le somme sulle sostanze contenute. Risultato: soltanto un terzo dei capi di abbigliamento e degli accessori esaminati sono stati considerati “sicuri”. Un vestito da bambina, per esempio, durante il testo ha rilasciato antimonio tossico, che rischia di essere assorbito dal corpo attraverso il sudore. Così i sandali da donna di Shein contengono flautati in una quantità superiore ben 15 volt al tetto fissato dalle norme dell’Unione europea. Ancora: le autorità sanitarie della Corea del Sud che hanno sequestrato 144 capi di abbigliamento di Shein, per esaminarli in laboratorio e concludere che contengono sostanze tossiche. Anche AliExpress e Temu sono state sottoposte a questo tipo di controlli, con analoghe conclusioni sulle calzature.
  • Plagio e copie di aziende del sistema moda. Shein e Temu  sono frequentemente accusate di copiare design di marchi e stilisti affermati senza il loro permesso, e questo solleva interrogativi sulla protezione della proprietà intellettuale e sulla concorrenza leale. Ci sono anche scambi di accuse reciproche, dove l’elemento di fondo è sempre lo stesso: la vendita di prodotti contraffatti. 
  • Zero trasparenza. Quasi mai è chiaro da dove arrivano i materiali con i quali vengono realizzati i prodotti venduti da Shein e Temu, e come sono organizzati i sistemi di produzione. Non è sempre chiaro da dove provengano i materiali e come vengano gestiti i processi di produzione, sollevando dubbi sulla responsabilità etica della società.
  • Lavoratori sfruttati e sottopagati. Ci sono diversi documenti in Rete, come questo filmato, che documentano in modo inequivocabile le condizioni di schiavismo nelle quali lavorano i dipendenti delle fabbriche incaricate di produrre per Shein. L’orario medio è di 17-18 ore al giorno, con un giorno di riposo al mese (la domenica non esiste) e Il salario base è di 4,000 yuan mensili, circa 540 euro, anche se il primo stipendio è trattenuto dall’azienda. Ai lavoratori e alle lavoratrici è richiesta la produzione di cinquecento capi al giorno. In alcuni stabilimenti di Shein, si viene pagati a pezzo prodotto: circa 40 centesimi l’uno. Ma se uno dei capi risulta difettoso, vengono trattenuti al lavoratore due terzi della paga giornaliera.
  • Fonti di accumuli compulsivi di prodotti di abbigliamento. Proprio per il meccanismo di funzionamento delle due piattaforme cinesi (prezzi bassi, articoli che sembrano disegnati da grandi stilisti, consegne veloci) Shein e Temu rappresentano il più grande incentivo online all’acquisto di articoli di abbigliamento, compresi tutti gli accessori. Che poi vengono inutilizzati e sprecati.
  • Grandi inquinatori. Con i loro fatturati, e con la febbre degli acquisti Shein e Temu sono diventate le maggiori aziende inquinatrici del sistema moda. Soltanto Shein, con le sue vendite, emette circa 16,7 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno.
  • Il contributo ai rifiuti del sistema modo. L’intero sistema della moda ha un ruolo importante nella produzione di rifiuti e nell’inquinamento a livello globale, e Shein e Temu sono le punte di diamante di questo sistema che invade il mondo, specie i paesi più poveri, di spazzatura con le sembianze di abiti e accessori non più utilizzati.
  • Pratiche commerciali scorrette. Sia Shein sia Temu sono al centro di specifiche indagini, a livello europeo, per pratiche commerciali scorrette. Secondo le accuse, riescono a ingannare i consumatori, aggirando le normative europee su sicurezza e trasparenza dei prodotti, e creando così le condizioni per una diffusa forma di concorrenza sleale. Molti consumatori hanno anche criticato Temu per la mancanza di trasparenza riguardo ai tempi di spedizione, ai costi aggiuntivi e alle politiche di restituzione, creando l’impressione che i prezzi bassi siano un “punto di attrazione” che nasconde molte difficoltà durante l’acquisto.
  • Evasione fiscale. Temu ha 90 milioni di utenti solo in Europa, ma le indagini in corso in sede Ue accusano la piattaforma di una serie di illegalità, e anche di un’opaca gestione fiscale, visto che i suoi guadagni, fatti con i soldi dei consumatori europei, finiscono poi per sfuggire al fisco attraverso lo schermo di società nei paradisi fiscali delle isole Vergini britanniche e di Cayman. Di fatto l’Unione europea accusa i cinesi di vendere prodotti illegali, poco sicuri, tossici. E soltanto nel 2024 sono stati importati nei paesi dell’Unione europea 4,6 miliardi di prodotti low cost, quasi il doppio dell’anno precedente, e nove volte su dieci arrivano dalla Cina, specie attraverso Temu. Nel 2023 ben 17,3 milioni di articoli contraffatti di provenienza cinese sono stati sequestrati alle frontiere europee e la metà erano stati acquistati online.

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