Shrinkflation: adesso c’è un’etichetta che avvisa i consumatori

Confezioni più piccole e prezzi più alti: un trucco e uno spreco diventati di gran moda. Che adesso deve essere segnalato a chi fa gli acquisti

shrinkflation
Prezzo uguale, ma quantità inferiore. Di fronte a un vero imbroglio diventano una prassi per diverse aziende del settore alimentare, finalmente si inizia a correre ai ripari. Chi pratica la shrinkflation in Italia dovrà segnalarlo con estrema chiarezza ai consumatori. Annunciandolo in etichetta. Le nuove norme entreranno in vigore dal mese di aprile del 2025, con due limitazioni, frutto dei compromessi con le lobby del settore alimentare: la nuova etichetta non sarà permanente,  ma resterà visibile solo per sei mesi dal momento della variazione. Inoltre, non sarà applicabile a ogni aumento del prezzo per unità di misura, ma esclusivamente ai casi in cui l’aumento sia direttamente collegato a una riduzione della quantità.
In inglese il fenomeno viene chiamato shrinkflation, ovvero shrink, che significa restringere, e flation, inflazione.  La spesa si è avvitata in un circolo perverso di aumento delle materie prime, inflazione e speculazione. Il risultato è che tutto è diventato più caro, anche attraverso la dissimulazione del ritocco al packaging. Due esempi.  Le bevande gassate che un tempo si vendevano in confezioni da un litro e mezzo, adesso compaiono sugli scaffali dei supermercati  nella versione ridotta da 1,35 litri. Ma il prezzo a litro è passato da 1,13 euro a 1,22. Un bel salto. Il cibo per i gatti si pagava 3,16 euro al chilo, in confezioni da 100 grammi; adesso la scatola è da 85 grammi, ma il prezzo è volato a 4,21 euro al chilo. A questo punto il cibo per gatti non resta che preparalo a casa. Intanto in Italia ci sono circa 10.000 prodotti venduti con il sistema dello shrinkflation.

Il trucco della riduzione della quantità del prodotto non avviene soltanto attraverso la confezione che si restringe, ma anche inserendo al suo interno una minore quantità di ciò che il consumatore sta acquistando. Così i fazzoletti di carta da dieci diventano nove, il liquido del detersivo (un tipico prodotto per le pulizie domestiche che possiamo fare in casa) diminuisce del 10-15 per cento,  la pasta nelle scatole si taglia, come lo yogurt nei vasetti. Tutto pur di lasciare invariati i margini di guadagno dei produttori.

I generi più colpiti da questa diabolica manovra dei produttori sono gli articoli di largo consumo. Come i pacchi di pasta che da mezzo chilo sono scesi a 400 grammi, con lo stesso prezzo. Il tubetto di dentifricio che si è rimpicciolito da 100 a 75 ml. Buste di patatine realizzate in modo da contenere almeno 10 chips in meno.

Le motivazioni con le quali le aziende giustificano gli aumenti mascherati dei prodotti rasentano il ridicolo. Alcune tirano fuori la solita favola della sostenibilità, sostenendo che confezioni più piccole si traducono in meno rifiuti e meno inquinamento. Falso. Semmai è vero il contrario: di confezioni più piccole se ne vendono una maggiore quantità, e in questo modo si appesantisce la catena di smaltimento. Altre aziende dicono che con un peso inferiore e minori quantità di prodotto acquistato, le famiglie sono indotte a sprecare meno. Cosa tutta da dimostrare, mentre è certo che pagano di più, e non poco. In questo scenario al consumatore non restano che le difese fai-da-te. E non sono inutili.. Primo: controllare il costo riferito al peso in etichetta. Secondo: preferire, quando è possibile, punti vendita con prodotti sfusi.  Terzo: confrontare marchi e qualità dei prodotti prima di fare una scelta.

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