Otto milioni di italiani a rischio povertà rappresentano una cifra da brivido in tempi di Grande Crisi, quando tutti gli indicatori economici e sociali sono in caduta libera. Ma dietro questo numero generale, certificato dall’Istat per il 2011 e destinato ad aumentare nel 2012, ci sono due spie rosse che si accendono e vanno meglio decifrate. La prima riguarda la famiglia, ammortizzatore sociale fondamentale nel sistema Italia: non riesce più a reggere alla forza d’urto di una recessione che si aggrava. La rete si strappa, perché intanto un coniuge è finito in cassa integrazione, il figlio si è iscritto alla tribù dei neet ( i ragazzi che non studiano e non lavorano), e un nonno si è ammalato di Alzheimer, una malattia che viene gestita in solitudine, nell’86 per cento dei casi, proprio dai nuclei familiari. La seconda componente è di natura territoriale. Scomposti sul piano geografico, i dati ci dicono che al Nord e al Centro il fenomeno dell’impoverimento è stazionario, mentre cresce al Sud, specie in Sicilia e in Calabria, dove quasi una famiglia su quattro è scivolata nella zona grigia. La forbice nel paese si allarga con distanze che sarà sempre più difficile colmare in tempi ragionevoli. Se questa è la diagnosi, l’unica terapia possibile è quella di restituire potere d’acquisto alle famiglie attraverso la leva fiscale e innanzitutto il lavoro che dovrebbe essere la priorità assoluta di qualsiasi governo e di qualsiasi maggioranza. Il potere di acquisto dei salari e delle pensioni di fascia bassa è crollato di circa il 12 per cento dal 2008, il punto di partenza della Grande Crisi, e senza uno stimolo per aumentare il reddito disponibile degli italiani si rischia di fare pura accademia con qualche titolo sui giornali. Un buon segnale sarebbe quello di destinare una parte dei soldi risparmiati attraverso il taglio degli sprechi con la spending review all’abbattimento della pressione fiscale che colpisce i lavoratori prima ancora delle aziende. Capisco le obiezioni: quei soldi serviranno a non aumentare l’Iva ed a dare una boccata d’ossigeno ai conti pubblici. E’ una scelta più da ragionieri che da politici, e un congelamento dell’Iva non risolverà nulla se intanto diminuiranno le risorse per fare la spesa al supermercato. Quanto al lavoro, i dati dell’Istat arrivano qualche giorno dopo l’annuncio di un’altra, drammatica statistica: i 125mila posti di lavoro che in Italia, secondo quanto documentato da un’indagine di Unioncamere, nessuno occupa. O vuole occupare. Anche qui da un governo che promette di riaccendere qualche fiammata di crescita, ci si aspetta un’azione più radicale, più forte. Quei 125mila posti di lavoro sono scoperti, anche perché finora ha funzionato l’ammortizzatore sociale della famiglia, e in molti hanno preferito la rete familiare, magari abbinata a un sussidio ed a qualche lavoro in nero, a un’occupazione stabile. E’ un circolo vizioso che in qualche modo bisogna rompere, senza dissimulazioni e senza ipocrisie, prima che l’onda lunga dell’impoverimento rompa gli ultimi argini.
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