Non ho potuto partecipare alla giornata mondiale senza tabacco perché, purtroppo, resto un fumatore piuttosto schiavo della nicotina. Magari lo farò l’anno prossimo, se e quando riuscirò a liberarmi da una dipendenza sui cui danni, diretti e indiretti, è inutile fornire cifre, dati e statistiche che ormai tutti conosciamo a memoria. Fumare fa male, punto e a capo. E alimenta un danno all’ambiente se al vizio si abbina la cattiva educazione, come il gesto istintivo di gettare un mozzicone di sigaretta sul marciapiede, in strada e perfino alle radici di un albero.
Lo spreco raddoppia, anzi triplica: con la salute ci giochiamo anche la qualità delle città dove viviamo e i soldi pubblici che servono per eliminare le cicche. Detto questo, però, non mi convince il proibizionismo, stile americano, che ormai dilaga, e non solo nelle società anglosassoni, contro i fumatori. Ormai sono considerati alla stregua di cittadini di serie B, cafoni sempre e comunque, gente pericolosa per la comunità. E i divieti, con tanto di multa, stanno diventando asfissianti. A New York non si può fumare in strada, all’ingresso di un grattacielo, all’aria aperta. Praticamente dappertutto.
Questa ossessiva caccia al fumatore è legata proprio alla lotta ai tre sprechi che ho accennato, a partire dalla sporcizia che producono le sigarette nelle città. Ai nostri amministratori pubblici, in alternativa all’ossessiva caccia al fumatore del sindaco di New York, suggerisco invece di dare un occhio ai progetti per portacenere urbani presentati per un concorso di design (ovviamente sponsorizzato da una grande multinazionale del tabacco) e visitabili alla Triennale di Milano. Le idee messe in campo da giovani studenti di tutto il mondo sono davvero molto creative e abbinano design, architettura, tecnologia e funzionalità. Un ragazzo del Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, per esempio, si è visto premiare per un cartello stradale che segnala ai passanti dove è possibile spegnere le sigarette. E ancora, in questa rassegna di idee scorrono piccole vasche in marmo con alberi e portacenere, sculture in legno a forma di T con lo spazio per le cicche, e perfino una mini cabina telefonica che in realtà ha la funzione di un punto di raccolta dei mozziconi.
Non si tratta, guardando l’insieme delle proposte, di una provocazione o di pura accademia universitaria finanziata dall’industria del peccato, ma di proposte concrete per trovare una soluzione a un problema strettamente collegato al vizio del fumo: il danno ambientale, visto che un mozzicone ha bisogno di 5 anni per essere smaltito. Fumare, fino a prova contraria, non è ancora un reato penale, chiunque ha diritto di rovinarsi la salute come vuole (lo Stato ha il dovere di segnalare e prevenire), e in attesa di smettere possiamo avere città più pulite e più belle. Senza le cicche che ci sommergono.
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