SITUAZIONE ECONOMICA E SOCIALE ITALIANA –
Un Paese sconnesso, impaurito e in letargo. Dove aumentano le diseguaglianze e diminuisce la coesione sociale. Il Censis non fa sconti e quest’anno fotografa, nel suo Rapporto annuale, una società che ha più problemi psicologici e di rappresentanza che non guai economici. Anche se alla fine dei conti i due fattori sono molto collegati, in quanto un nuovo ciclo economico di crescita diffusa, che al momento non si vede, ripartirà solo in funzione di una spinta propulsiva e collettiva dal basso, qualcosa che ricordi l’energia vitale degli anni del boom quando l’Italia, in poco tempo, cambiò i suoi connotati.
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I DATI DEL RAPPORTO CENSIS 2015 –
Una società sconnessa vive senza apparente conflitto e nell’inerzia del presente. Narcotizzata dalla cronaca, scandita e gonfiata dalla liturgia dei talk show televisivi, prigioniera di un limbo da dove non si vede uno slancio, e un desiderio, di futuro. Una condizione nella quale non si forma classe dirigente autorevole e competente, le catene di comando, in tutti i settori, sono ristrette al club dei soliti fedelissimi, con il rischio della deriva autoreferenziale (il crack politico e amministrativo al comune di Roma è un paradigma). I partiti, e in parte anche i sindacati, diventano così una sorta di tribù con alla testa un capo e delle nomenclature, e con il consenso controllato, sul territorio, attraverso la rete dei cacicchi. Anche qui un caso per tutti: Matteo Renzi esercita con efficacia una forte leadership al centro, protetto dal cerchio magico toscano, ma in periferia il Pd è allo sbando, con gruppi di potere che riescono solo a giocare d’interdizione. Senza un progetto generale e senza un equilibrio tra centro e periferia, il sistema di potere di Renzi rischia di entrare presto, magari alle prossime amministrative, in corto circuito.
CAMBIAMENTO E SVILUPPO DELLA SOCIETÀ ITALIANA –
Dove sono invece gli elementi positivi, di cambiamento, di nuovo sviluppo, della società italiana? Il Censis, come sempre, li cerca nello scheletro di un popolo per sua natura saggio e inventivo. E poi li declina nei dati dell’economia. La disoccupazione (11,9 per cento) è ancora pari al doppio di quella di otto anni fa (6,7 per cento), ma i lavoratori “anziani”, tra 55 e 64 anni, sono passati da 2,5 milioni a 3,5 milioni. I giovani, con naturalezza, vanno a lavorare all’estero, creano nuove start up, dalla promettente sharing economy fino alla febbre dei bad & breakfast, interpretano in massa il lavoro autonomo in chiave multitasking (più attività, più entrate, più competenze): non a caso la nostra occupazione in questo settore vale il doppio di quella tedesca. Le donne avanzano e fanno argine allo tsunami della Grande Crisi: il 12 per cento delle famiglie vivono grazie al lavoro delle donne, unica entrata. I nostri immigrati non sono quelli delle periferie parigine, mentre i titolari stranieri di imprese in Italia, tra il 2008 e il 2014, sono cresciuti del 31,5 per cento. L’integrazione, ancora una volta dal basso e con naturalezza, funziona. E contano gli stranieri nel boom a Roma, tra il 2009 e il 2015, di nuove imprese nella ristorazione e nei minimarket (più 26,4 per cento) e nei negozi di frutta e verdura (più 16,4 per cento).
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Quanto alle attività economiche ed ai consumi, le aziende che esportano non hanno problemi. Anzi, crescono: più 6,2 per cento soltanto nel settore delle macchine. Si vedono tracce di ripresa nel settore immobiliare, con i mutui aumentati del 94,3 per cento da gennaio ad ottobre (anche se un terzo sono surroghe) e con le compravendite in crescita, nel secondo trimestre del 2015, del 6,6 per cento. Migliorano i consumi dei beni durevoli. Se le attuali intenzioni di acquisto di nuove automobili dovessero essere confermate nel 2016, si tornerebbe ai livelli di vendite di auto del 2008. Tre milioni di famiglie pensano, nei prossimi 12 mesi, di cambiare elettrodomestici e mobili, anche grazie alle detrazioni fiscali. Nei consumi, l’antica saggezza contadina italiana, oggi si esprime con una parola chiave: sobrietà, ovvero niente sprechi. Ed è sempre questo codice genetico che ci consente di essere forti, fortissimi, nel risparmio. La ricchezza finanziaria delle famiglie ha superato la quota dei 4mila miliardi di euro, ma quello che fa impressione è la progressione negli anni più duri della Grande Crisi. Tra il 2011 e il 2015 i depositi bancari degli italiani sono aumentati di 401 miliardi di euro, e nell’ultimo anno 10,6 milioni di famiglie dichiara di avere risparmiato. Chapeau, all’Italia parsimoniosa: peccato solo che neanche una parte di questi soldi finiscono per finanziare nuove attività economiche e nuovo lavoro.
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