Smart Food, la piattaforma di vendita online di prodotti stagionali e certificati è l’idea vincente di due giovani italiani

Cesare Alfredo Guerreri e Marco Casassa con il loro progetto hanno vinto nella sezione Good4 our Wellbeing (progetti nutrizionali e di sicurezza alimentare) di “Barilla Good4 - Start Up the future”, contest dedicato alle idee innovative per il settore alimentare con lo scopo di favorire uno sviluppo sostenibile

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SMART FOOD –

Creare una nuova forma di vendita online basata sui valori nutrizionali certificati da un Comitato Scientifico, con una particolare attenzione alla stagionalità degli alimenti. Con questo obiettivo Cesare Alfredo Guerreri e Marco Casassa hanno dato vita a Smart Food: more than an e-commerce, progetto con il quale hanno vinto nella sezione Good4 our Wellbeing (progetti nutrizionali e di sicurezza alimentare) di “Barilla Good4 – Start Up the future”, il contest Barilla dedicato alle idee innovative per il settore alimentare con lo scopo di favorire uno sviluppo sostenibile, in collaborazione con SDA Bocconi School of Management di Milano e l’incubatore Speed MI Up.

Barilla Good4 nasce con lo scopo di valorizzare l’imprenditoria giovanile e allo stesso tempo la cultura di un’alimentazione sana e di una agricoltura sostenibile. Fini, questi ultimi, che Barilla sta portando avanti anche con la sua fondazione, il Barilla Center for Food and Nutrition, che da anni ha redatto un Protocollo di Milano firmato anche da grandi realtà del terzo settore, come Slow Food e il Banco Alimentare, e che la fondazione adesso intende far confluire nel documento finale dell’Expo 2015, la Carta di Milano.

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La call per i progetti – ne sono arrivati centinaia – è stata fatta tutta online, tra siti e blog di settore in tutto il mondo. I 9 progetti finalisti sono stati elaborati da giovani under 30 di diverse nazionalità. Abbiamo intervistato Marco Casassa, ideatore di Smart Food, insieme a Cesare Alfredo Guerreri.

Come vi siete conosciuti e come è nata l’idea di Smart Food?
Ci siamo conosciuti al liceo, poi abbiamo frequentato università diverse: io architettura, Cesare ingegneria. Ma a Milano abbiamo avuto le stesse amicizie e siamo sempre stati in ottimi rapporti. L’idea è nata dal fatto che Cesare non abbia grandissime abitudini alimentari, niente verdura e frutta. Non perché non gli piacciano, ma perché era abituato a comprare solo quello che più gli piaceva.
Anche viaggiando all’estero abbiamo notato quanto si fosse agevolati dal portare la spesa a casa. A Copenaghen, per esempio, lo fanno tutti e tutti si fidano, tanto che lasciano le chiavi di casa a chi porta la cassetta di frutta e verdura. Come un gioco abbiamo cominciato a dar forma all’idea durante una cena, successivamente abbiamo coinvolto mio padre, che è un agronomo: il biologico non è facile da trattare (soprattutto per via delle certificazioni) e quindi richiede un processo molto lungo.

Quali difficoltà avete incontrato?
Principalmente difficoltà economiche, perché nessuno ci ascoltava: le banche non avevano considerazione di Cesare, un giovane di 26 anni, sebbene con contratto a tempo indeterminato. Avevamo sentito i venture capitalist, ma a noi bastavano 100mila euro, loro puntano solo su cifre più grosse.

Qual è la mission del vostro progetto?
Il biologico lo fanno già altri, anche se non ci sono grandi player. Ma i piani nutrizionali servono a sopperire la mancanza di altri. Noi vogliamo portare anche dei valori con la consegna degli alimenti in casa. Chi ordina tutti i giorni non può comprare solo pomodori: è giusto equilibrare le proprie scelte con i princìpi della dieta mediterranea. La mission del progetto è quella di educare le persone.

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Idee per il futuro?
Customizzare l più possibile: fare un piano sulla singola persona è difficile, ma farlo per categorie è possibile e noi puntiamo a questo. Per esempio, un ragazzo di 26 anni, con una fidanzata, e che fa sport ha delle esigenze diverse rispetto a un 45enne con moglie e due figli e che non pratica nessuno sport.

Quanto è stato importante vincere questo concorso?
Le cifre sono utili ma non bastano. Vincere un premio internazionale però fa capire che non hai avuto una buona idea e che altri ti supportano. Forse è la cosa migliore. Sentirsi supportati non solo dal proprio padre, ma anche da persone esterne ti sprona. Lavoriamo entrambi in un famoso ecommerce: anche tornare da vincitori, dopo i due giorni di ferie presi per la premiazioni, in un’azienda di 60-70 dipendenti, è stato un grande piacere per noi.

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