Mia madre, già in età molto avanzata, dimenticava quasi tutto nello spazio di pochi minuti. Ma era capace, sempre e comunque, di ricordare tutti i nomi dei suoi otto fratelli, e alcuni episodi impressi nella sua memoria relativi all’infanzia. La sua attivissima memoria di lungo periodo la portava a fare dei racconti straordinari, e a ricostruire le priorità della sua lunga vita.
La vecchiaia porta quasi a fare coincidere la smemoratezza con l’atarassia, la fine dell’ansia, dell’agitazione, dello stress continuo. E l’ingresso in una vita tranquilla, serena, perfino priva di dolori. Ma è proprio la memoria telescopica degli anziani, il dolce uso che ne fanno, che dovrebbe indurci a riflettere sull’utilità della smemoratezza e sul fatto che non dobbiamo sprecarla.
Scriveva Friedrich Nietzsche: «Beati gli smemorati perché avranno la meglio anche sui propri errori». Ecco, dunque, un primo vantaggio della smemoratezza. Ti consente, con un colpo solo, di non avvitarti sugli errori fatti, di andare avanti, di non stare e rimuginare a colpi di se e di ma, e di non perdere il contatto con la realtà restando soffocati da sensi di colpa o dal banalissimo, e inutile, rimorso.
Ogni giorno il nostro cervello è sottoposto a un’intensa attività di accumulo di materiale. Notizie, informazioni, emozioni, decisioni. Tutto insieme. E tutta roba che circola molto velocemente, fino a renderci impacciati. In questo caso la smemoratezza, altro vantaggio, diventa un’igiene mentale, una forma di pulizia della testa, come il bagno caldo a fine giornata. E serve perfino un piccolo esercizio per diventare smemorati.
Un amico che passa tutta la giornata a incontrare persone di lavoro, a fare riunioni, ad ascoltare problemi ed a cercare soluzioni, mi ha confessato questo metodo da smemorato per non smarrirsi nella palude degli eccessi della cose da ricordare: resettare il cervello dopo ogni incontro, cercando di dimenticare le cose inutili e conservando a memoria quelle utili se non indispensabili.
Questo metodo ha anche un fondamento scientifico. I ricercatori dell’università di Glasgow hanno fatto uno studio sui benefici della smemoratezza e hanno dimostrato la sua utilità, per esempio, per prendere decisioni più nitide e efficaci, per essere più lucidi e quindi più risolutivi.
Si potrebbe così arrivare alla conclusione che abbiamo bisogno di un doppio tipo di esercizi, entrambi molto semplici. Nella prima categoria rientrano quelli che servono a conservare una memoria attiva e volontaria: ne abbiamo parlato in questo articolo. Del secondo gruppo, invece, fanno parte i comportamenti necessari a coltivare la smemoratezza. Dimenticando, per esempio, il torto subito da una persona che ci ha deluso, passandoci sopra a volo d’uccello, quasi con superficialità, abbiamo ingerito una pillola naturale contro l’inutile rancore. La memoria di ciò che ci ha ferito ha un segno negativo, non porta nulla di buono, e alimenta soltanto le varie categorie e sottocategorie del risentimento. Allontanandoci dagli altri.
Celebrata l’utilità del dimenticare, bisogna però prendere le distanze dalla smemoratezza che accende una spia di pericolo. È il dimenticare per comodità, per furbizia, per rimozione. Aiutati anche dall’intensa attività che abbiamo ogni giorno sugli apparati elettronici, a partire dai frequenti vaniloqui sui social. I danni sono evidenti: smarriamo il senso delle cose, le radici, e anche la praticità del quotidiano. Solo un terzo delle persone riescono a ricordare un numero telefonico senza ricorrere all’agenda sul cellulare. E più o meno lo stesso numero di persone ha ancora la capacità di individuare una strada nuova senza ricorrere a Google e alla sua voce metallica.
La smemoratezza culturale spegne l’energia del cervello e della coscienza e ci spinge, con un atteggiamento sottile, nel buio dell’indifferenza. Rinunciamo alla più piccola fatica del ricordare per non sentire doveri, responsabilità. Magari anche solo per non scegliere e restare nel limbo dell’irresolutezza.
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