Il popolo dei bagnanti è afono, non ha una voce. Puntualmente, a inizio stagione estiva c’è qualche protesta locale, un cartello, striscioni, in occasione della pubblicazione dei dati sempre più scoraggianti sulle spiagge negate. Ogni anno in Italia, infatti, aumentano le concessioni e i prezzi per ombrelloni e lettini e diminuiscono le spiagge libere.
L’Italia è un paese fatto di coste e di spiagge. Abbiamo 8 mila chilometri di coste e 4.917 siti balneabili: record europeo. Ma le buone notizie finiscono qui. L’ultima rilevazione di Legambiente ci dice che le concessioni demaniali sono arrivate a quota 61.426, mentre erano 52.619 nel 2018. Avanza la lobby del mare con i suoi oltre 12 mila stabilimenti, i cui canoni di concessione talvolta sono semplicemente ridicoli.
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Spiagge libere in Italia
Con questi ritmi di esproprio di fatto, il mare libero, a disposizione dei bagnanti, si è ridotto al lumicino. Anche perché alle spiagge non occupate dalle concessioni dovete sottrarre quelle dove il mare è inquinato, non raggiungibile e dove gli ingressi sono contingentati. Per esempio, a Napoli nel primo tratto di Via Posillipo due stabilimenti hanno occupato le spiagge e quello che resta viene diviso tra i bagnanti, con ingressi contingentati, secondo un’ordinanza del comune, di 12 persone alla volta. Nulla.
Comuni con più spiagge in concessione
Il mare libero è vietato, dalla Liguria alla Sicilia, in tutta Italia. Con casi limite che coincidono, guarda caso, con i luoghi dove i costi di ombrelloni e sdraio sono più alti. A Forte dei Marmi, in provincia di Lucca, il 93,7 delle spiagge sono date in concessione: quelle libere non esistono. Ad Alassio, in provincia di Savona, siamo al 95 per cento, ma anche a Ostia si supera il 57 per cento e nella meravigliosa Mondello, la spiaggia dei palermitani, il territorio marino è occupato per il 66 per cento dagli stabilimenti. Spostandoci dall’altro lato della penisola il quadro non cambia di molto: a Jesolo, provincia di Venezia, sono in concessione il 66,8 per cento delle spiagge; a Rimini si arriva al 90 per cento; a San Benedetto del Tronto all’87 per cento.
Spiagge libere nelle diverse regioni
Quante spiagge si possono dare in concessione?
Ma come si è arrivati all’Italia senza spiagge libere, dove due persone per fare una giornata al mare devono tirare fuori almeno 50 euro? Il popolo dei bagnanti è una comunità apolide, senza una sua identità e una sua rappresentanza, come nel caso dei titolari degli stabilimenti balneari. Una categoria, diciamolo senza pudore, anche un tantino disprezzata dall’opinione pubblica, in maggioranza formata da frequentatori di stabilimenti a pagamento che si sentono disturbati dalla presenza dei bagnanti free. Preferiscono pagare ma non avere contatti con loro. Così nel paese delle leggi, delle norme, dei regolamenti, si è lasciato un buco in materia di concessioni delle spiagge. Abbiamo creato un mostro giuridico per giustificare una mostruosità sociale. La legge affida alle regioni il compito di stabilire quante spiagge possono essere date in concessione su uno specifico territorio. Tutto qui. Il resto sono poco più che raccomandazioni, cose molto generiche: gli stabilimenti devono essere intervallati con spiagge libere (ma nessuno specifica la proporzione), e le spiagge libere non possono essere relegate a zone periferiche, insalubri, inquinate, difficili da raggiungere, in prossimità di condotti fognari. Chi decide la mancanza di queste condizioni? Mistero. Se un cittadino decide che la regione abbia favorito gli stabilimenti rispetto al popolo dei bagnanti, può fare soltanto una cosa: un ricorso al Tar, a sue spese e dall’esito assolutamente incerto considerando la genericità della legge e la quantità di buchi che apre.
Spiagge libere in America
In questo vuoto si è consumato l’esproprio silenzioso delle spiagge libere. L’industria della balneazione merita rispetto, è un settore che occupa migliaia di persone, con una filiera e un indotto molto importante, e fa parte dell’universo dell’accoglienza, nel quale gli italiani sono bravissimi. Ma nessun governo, di centrodestra o di centrosinistra, populista o europeista, si è mai preoccupato di difendere i diritti del popolo dei bagnanti. Abbandonati al loro destino di minoranza senza voce. L’Italia del mare è diventata un paese classista, dove non tutti possono permettersi il piacere di fare i bagni. Persino in una nazione come gli Stati Uniti, dove tutto è mercato, concorrenza, legge della domanda e dell’offerta, le spiagge libere fanno parte dell’identità nazionale. Sono protette, come oasi naturali. L’americano medio, anche benestante se non addirittura ricco, carica il suo pick-up con ombrellone, materassino, seggiolino, ghiacciaia con le birre e le Coca Cola, e va sulla spiaggia a trascorrere la sua giornata al mare in totale libertà. È l’immagine di un paese dove l’ascensore sociale non è fermo e le pari opportunità sono declinate in qualsiasi forma. Al contrario dell’Italia, dove anche le spiagge sono diventate un elemento di frattura sociale. Se fate una ricerca su Google, con la chiave Le più belle spiagge d’America, ne scoprirete tante, e in tutti gli stati americani dove c’è il mare. Sono libere, e accessibili a chiunque.
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