In quest’articolo di Sergio Rizzo pubblicato sul Corriere della sera, del quale riportiamo ampi stralci, viene fuori un punto decisivo nella lotta contro gli sprechi di denaro pubblico. Il primo buco nero in Italia, in questi ultimi 10 anni, non è rappresentato dallo Stato, quanto dalle amministrazioni regionali che sono state capaci, per esempio, di raddoppiare i costi della sanità. Senza tagli e controlli della spesa regionale, quindi, non ci sarà mai risanamento dei conti pubblici.
«Nei dieci anni fra il 2000 e il 2009 la spesa pubblica regionale è lievitata da 119 a 209 miliardi. L’aumento, per metà imputabile alla sanità, è stato del 75,6 per cento. Tre volte e mezzo l’inflazione, ma soprattutto il doppio rispetto alla crescita del 37,8 per cento registrata da tutta la spesa pubblica italiana nel suo complesso. La conclusione è semplice. Senza il contributo devastante delle Regioni il rapporto fra spesa pubblica e Prodotto interno lordo sarebbe, al netto degli interessi, più o meno lo stesso di una decina d’anni fa».
«E oggi, che ci costano almeno 90 miliardi in più, sicuramente le Regioni e la sanità non funzionano meglio di allora. Questo, sopra ogni altra cosa, dovrebbe far riflettere i profeti di un federalismo casereccio, convinti che per risolvere i problemi dei conti pubblici sia sufficiente decentrare sempre di più».
«Da quando le Regioni sono nate, oltre quarant’anni fa, sono più le cose che non hanno funzionato. I centri decisionali si sono moltiplicati, la pubblica amministrazione è sempre meno efficiente, le procedure più complesse, il groviglio di norme e competenze inestricabile. I veti incrociati paralizzano le scelte. A valle degli apparati regionali sono proliferati centinaia di enti e società che hanno alimentato sprechi e deprecabili pratiche di sottogoverno e clientelismo. L’autonomia si è rivelata talvolta un comodo paravento per dissipare denaro pubblico, senza che lo Stato possa mettere in atto contromisure».
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